— tot — nemici, dacché riconoscevano gl’ imperatori sena-torii, come chiamavano per il momento senza scherno Massimo e Balbino eletti dal Senato. Se non che gli Aquilciesi, bravi e pratici, come tuttora sono le popolazioni furlane, fraternizzarono volentieri, ma quanto ad aprire le porte risposero picche. Stando però sulle mura, come chi conversasse dalla finestra o dal terrazzo, vi fonarono le mmagini di essi Massimo e Balbino imperatori, e le incornarono d’alloro, festeggiar dole con evviva e confortando l’esercito la fare il medesimo, ma dal di fucri, che tanto già la voce arrivava. L’ aspetto delle cose era compieta-mente ed anche comicamente mutato, perchè dalle mura al ciglio esterno del fosso non si gettavano più freccie e sassi, ma commestìbili, panni, vesti, scarpe e coperte, a sollievo di quell’ esercito che rimaneva schierato sotto, non più a combattere ma a mendicare e a chiaccherare. Quei baluardi di qualche giorno prima erano proprio un mercato, così empiti di pane, di viro, e d’ogni specie d’oggetti e commestibili, dei quali abbondava quella che tutti gli storici chiamano la florida e doviziosa città. Aquileia aperse da ultimo le porte quando l'imperatore Massimo, avute le notìzie, si parti da Ravenna e passando il Po fu incontrato dall' esercito già assediarne che gli andò incontro coronato d’alloro e in abito di pace a fare riverenza, unendosi alle legazioni di tutte le città d’Italia composte dei cittadini più ragguardevoli, venuti pure in veste candidissima e inghirlandata d’ alloro, recando seco le