certezza se nelle acque, che la formazione navale dovrà attraversare, esistano ancora offese di insidie avversarie. I delegati del Consiglio fiumano, giulivi di tornare alle case loro, aspettanti in angoscia, sopra una nave italiana, chiedono di parlare airammiraglio Rai-ner. Infiammati d’amor patrio, un poco inebriati dalla miracolosa situazione in cui ora vivono, invitano con parole commoventi il comandante la spedizione ad occupare la città in nome dell’Italia. « La grande maggioranza dei fiumani — essi insistono — non ha che una speranza: riunirsi finalmente all’Italia. Se la madre patria dovesse ora abbandonarci, sia pure in ossequio ad una disposizione generale delle Potenze alleate, a noi non resterebbe che incendiare le nostre case, i nostri opificii, i nostri fondaci, ed emigrare in massa. La vita a Fiume, sotto un qualunque dominio croato, diverrebbe per noi tutti impossibile. Saremmo brutalmente schiacciati, inumanamente perseguitati. Non vogliamo diventare gli « armeni » dell’Adriatico. Piuttosto che subire questa sorte, siamo decisi a morire ! » L’ammiraglio risponde di apprezzare altamente i loro sentimenti d’italianità, ma fa osservare ai delegati fiumani che gli ordini da lui ricevuti sono chiari, precisi, e non ammettono alterazioni : la divisione navale fa rotta verso Fiume solo per reprimere i disordini e tutelare i connazionali. Dopo mezzogiorno la radiotelegrafia annunzia che tre sommergibili germanici, sfuggiti da Pola prima della consegna della flotta austro-ungarica agli jugo-slavi, incrociano nel golfo di Trieste. Si dà ordine ai cacciatorpediniere di scorta di assumere formazione di protezione intorno alla corazzata e viene intensificata la vigilanza delle vedette di bordo. Ma, benché il tempo — 137 — i