* * Le vetrine di Trieste. Abiti comuni da uomo: duemila duecento corone. Abiti eleganti da signora: fortune da capitalisti. Un pezzo di sapone da toilette: quattordici corone e cinquanta heller. Ma non vi lavate le mani con quel sapone ! E’ fatto di sostanze chimiche ; è senza olii e vi scortica la pelle. Un negozio di commestibili : avreste creduto di scorgere allineati, sui palchetti della mostra, i generi mangerecci e i cibi raffreddi che siete abituati a vedere dovunque, anche in tempi di carestia. Qui, no ; qui non vedete che scatole : scatolone, scatolette, scatoline di cartone, dadi, tubetti, piramidi, compresse. Leggete le scritte: polvere per fabbricare il latte, polverine imitanti il cacao per far la cioccolata, essenze per fare il brodo, radiche péste da tostare come il caffè, foglie secche di piante selvatiche da scottare come il tè, pasta gialla per fare la maionese... Alla prima, v’assale l’idea che l’insegna della bottega sia un errore e che si tratti d’una farmacia. Poi v’accorgete che non è una farmacia, è un emporio di delicatessen. Vi soffermate davanti ad un libraio: vetrina commovente. Tutte le « novità » editoriali italiane del 1912 e del 1913 vi stanno allineate davanti agli occhi; ma hanno le copertine giallicce, le costole polverose, i margini delle pagine intonse leggermente ammuffiti. Sono i libri scomparsi durante la guerra dalla vista del pubblico, esiliati nelle casse, nascosti nelle cantine, internati nei retrobottega per far posto alle edizioni di Lipsia, di Dresda, di Vienna, di Monaco; libri che òggi ritornano improvvisamente alla luce, cacciando ora, alla lor volta, neU’ombra, i trionfatori di ieri. Vicende guelfe e ghibelline negli scaffali delle librerie... - 99 -