* * * Il portale del duomo di Trieste è cinto di busti romani. Una decina di facce sbarbate, dalle fronti brevi sotto la frangia dei capelli, dagli occhi rósi per il guasto delle intemperie sulla pietra, vi guardano dall’architrave e dai pilastri laterali con attitudini tranquille. La toga avvolge i loro omeri robusti ; e, sotto la toga, un’iscrizione di poche lettere ne ricorda i nomi. Sono tutti della stessa famiglia: la casa dei Barbii. Dall’alto di San Giusto dominano l’Adriatico, che s’apre alla vista come in un anfiteatro di lapislázuli. Laggiù, all’orizzonte, di là dal mare, proprio di faccia alla cattedrale triestina, sopra un velo nebbioso s’innalzano come punte d’aghi i campanili di Grado e d’Aquileia. I Barbii guardano da due millennii la riva lontana che s’incurvò sotto il peso della loro potenza. E la serenità delle loro fronti laziali esprime il riposo eterno, dopo tanta febbre di lavoro, di traffico e di conquista. Essi furono i Rotschild del Veneto, del Friuli e dell’I-stria, quando dal Po all’Isonzo, dall’Isonzo alle Alpi Giulie l’aquila romana riallargò — come oggi — i limiti del volo. Dopo la conquista militare, era succeduta la conquista commerciale. Come le legioni di Roma fissarono in Aquileia il loro quartier generale per irradiarsi in Pannonia, nel Norico, neH’Illiria e in Dalmazia, così, dopo l'assoggettamento delle armi, i commercianti di Roma posero in Aquileia il loro emporio centrale e si irradiarono verso il Danubio, oltre la Camia, verso le spiagge d’Oriente, facendo confluire in quello ch’era stato il baluardo orientale dell’impero tutta la mercanzia del settentrione e del levante. Allora i Barbii eressero ad Aquileia i loro magazzini, le loro banche, i — 101 -