sono neri di folla. Rallentiamo. Le macchine non strepitano più. E’ allora che riceviamo in pieno petto l'esplosione di Trieste italiana e redenta. Dopo, quello che sia avvenuto, precisamente non 10 so. Le mie note tacciono. La memoria non m'assiste. Ricordo d’aver barcollato sulla prua della torpediniera che accostava al Molo della Sanità. Ricordo che le mie orecchie non udivano più, martoriate dalle acclamazioni e dalle grida d’evviva all’Italia. Ricordo che non ho potuto, sbarcando, baciare la banchina, perchè ogni pietra era scomparsa sotto la calca. Ricordo d’avere intravisto, nel pianto, decine di migliaia di volti che piangevano come me e una ridda di fazzoletti, di crisantemi, di bandierette davanti agli occhi. Le mie mani non appartenevano più a me, ma alla folla. Sono stato trascinato fino ad un palazzo maestoso, inondato di lumi e di gente, che ho riconosciuto più tardi come 11 palazzo della ex-luogotenenza. Ricordo d’aver notato con stupore, sotto il peristilio, guardie in uniforme austriaca e fiocco tricolore al bavero del cappotto, che m’hanno salutato di scatto, con un saluto che non è il nostro regolamentare. Nel tragitto, signore eleganti e popolane mi hanno abbracciato; me, come ognuno degli arrivati. Ricordo d’essermi trovato con fiori nelle mani, nelle tasche, nella fondina della pistola. Ricordo d’avere osservato che tutti, anche ufficiali e soldati austriaci, avevano la coccarda italiana. Mille mani tese a chiedere giornali, giornali, giornali... Ci caviamo quelli che abbiamo in tasca: disputati. Ricordo d’essere stato sospinto per lo scalone del Palazzo Municipale, gremito, in una sala dove il generale Petitti, col braccio bendato in una - 63 -