Naturalmente, cotesta trasformazione non avvenne d'un tratto. E, nel periodo in cui potevamo presumere che l’avversario non intendesse rinunziare del tutto alla sua parte d’Adriatico pur di non compromettere nessuna unità della propria flotta, la Marina italiana spiegò un’attività che fu persino giudicata eccessiva. Squadre di nostri incrociatori percorsero in ogni senso l'Adriatico, in lungo e in largo, penetrando nelle acque stesse del nemico, nei suoi golfi e nei suoi canali; bombardando le sue ferrovie costiere, le sue stazioni radiotelegrafiche, i suoi semàfori, i suoi depositi, i suoi promontori! di vedetta. Squadriglie di nostre torpediniere forzarono anche gl’ingressi e gli stretti dell'arcipelago dalmata, tagliando le comunicazioni subacquee, danneggiando i cantieri e gli scali, affrontando con piccoli sbarchi le guarnigioni, provocando nei loro stessi dèdali le forze leggere austro-ungariche. Anche volemmo assicurarci un punto d’appoggio, una sentinella avanzata in mezzo all’Adriatico, sempre prevedendo che un giorno o l’altro gruppi d’unità imperiali si sarebbero decise ad affrontarci ; ed occupammo e tenemmo per alcuni mesi guernita l’isola di Pela-gosa, posto d’osservazione utilissimo per sorvegliare i movimenti d’una flotta avversaria che fosse uscita all’aperto. Tale periodo d’intensa attività marinara ci costò — è vero — perdite dolorose, come quelle de\Y Amalfi e della Garibaldi; ma ebbe il risultato inatteso di veder quasi interamente scomparire il naviglio da guerra nemico dall’Adriatico e, dopo l’affondamento dei primi sommergibili austriaci, anche quello di rarefare gli agguati sottomarini nelle nostre acque. La lotta sul mare cominciò allora a mutare di natura in un modo, che nelle prime settimane di ostilità — 181 —