do venne assalita ed inseguita da un gruppo d’esploratori italiani e britannici, al comando d'un ammiraglio italiano. Neppure allora le unità avversarie accettarono il combattimento; e forzarono l’andatura, cercando di tenere in rispetto i nostri attacchi coi pezzi di lunga gittata. Pur tuttavia, benché un sommergibile austriaco tentasse invano di silurare e colare a picco la nostra nave ammiraglia, benché un’avaria di macchina avesse costretto l'Aquila a restare immobile, ma non passiva, sotto il tiro nemico, tre unità avversarie furono colpite e gravemente danneggiate in quell’inseguimento. Due grossi cacciatorpediniere dovettero riparare sbandati e sforacchiati a Durazzo e l’incrociatore Novara rimase così malconcio e con tal numero di morti a bordo — compreso il Comandante in seconda — che dovè essere rimorchiato sùbito a Cat-taro dai compagni, con la poppa distrutta ed un incendio a bordo. La nostra nave ammiraglia venne colpita da siluro sulla via del ritorno, ma potè con i propri mezzi raggiungere il porto di partenza. Eccettuati dunque questi due urti fra elementi leggeri delle flotte competitrici, tutta la guerra sostenuta nel mare è stata per noi un’oscura serie d’aspre fatiche, di sforzi silenziosi, di lunghissime vigilie. Il bisogno di navigare continuamente nei nostri tre mari con una relativa sicurezza, — e per vaste zone sotto gli occhi d’un nemico nascosto in labirinti impenetrabili dai quali poteva sempre muovere insidie al nostro traffico — ci ha costretti ad inventare e fabbricare armi nuove, nuove forme di siluranti di minimo bersaglio e di grande velocità, nuove controffese per la caccia ai sottomarini : come i motoscafi — i Mas —, le reti e le torpedini antisommergibili, i molti e diversi apparecchi — 189 -