tranquillo, incassato tra monti verdeggianti, coronato di banchine, di moli, d'officine, di batterie, di capannoni, di grue, di pontili, di pontoni, di ciminiere. 11 cuore sobbalza. Le pupille si dilatano per abbracciare di colpo la smisurata visione, che non dimenticheremo mai più... Dinanzi a noi, una grande corazzata imperiale ci mostra la poppa. E, sulla poppa, leggiamo un nome a caratteri dorati che comunica un brivido ai nostri nervi ; un nome che racchiude concentrato tutto il dolore e tutto il pianto e tutto il martirio e tutto lo sforzo di liberazione del popolo d’Italia: Ra-detz^yl Su quel nome, sventola il vessillo croato. Ma per avvicinare la Radetzì^y che ci guarda torva con le occhiaia tenebrose dei suoi grossi cab bri, dobbiamo descrivere una serie di lunghissime S, in mezzo ad un triplice ordine di nuovi sbarramenti. Finalmente, siamo nelle acque interne, protette, libere, del porto militare di Pola. Filiamo sotto bordo alla Radetzkjj, mentre dalle murate i marinai colle leggende di « Kriegsmarine » e di « Jugo-slavia » sul nastro del berretto ci guardano con indicibile espressione di sorpresa, come se dubitassero di prestar fede ai loro stessi occhi. Dopo la prima incertezza, una parte di loro si decide a gridare: « Urrah ». Alcuni ufficiali in giubba nera scollata, con fregi d’oro alle manopole, salutano: corretti, ma freddi. Gli ufficiali della « 4 P. N. » rispondono al saluto, mano alla visiera. Dopo la Radetzfyy, ecco alla fonda le sue compagne: la Erzherzog Franz Ferdinand e la Zrinji, allineate una dopo l’altra. Sono tinte con un gngio più cupo e più turchiniccio delle nostre corazzate. Hanno l’aria d’essere in questo momento mal curate, mal pu- - 85 —