con gli occhi i marinai che vorrebbero tenerlo per le braccia. A bordo dell'Habsburg, un medico mi tocca il polso. Mi dice: «Fünfzig», cinquanta. Ordina che mi portino un caffè caldo. L’ingegnere, che sta meglio di me, viene in mio aiuto e fa un po’ di massaggio alle mie gambe intirizzite. Una bevanda nera, che chiamano caffè, ed una sigaretta mi ristorano alquanto. Credo inutile narrare le peripezie del 1,° novembre ; nè la triste preoccupazione, per fortuna durata pochi minuti, d’esser portati alla fucilazione da otto sentinelle e da un sottoufficiale armati di Mannlicher, baionetta e rivoltella; nè i cinque giorni di prigionia, durante i quali siamo stati cavallerescamente trattati. Alla fine del quinto giorno, mentre me ne sto affacciato al finestrino della mia cabina, vedo la Saint-Bon che entra nel porto di Pola. Credo si sognare.. Scappo in coperta, afferro un megafono e grido, folle di gioia, alla vecchia nave italiana che passa : — « Ammiraglio di Saint-Bon », viva il Re ! Insieme all’ingegnere, ripeto il grido. Un uomo che sta sulla plancia, circondato da un folto Stato Maggiore, si toglie il berretto, lo agita in aria e risponde: « Viva il Re ! » E’ l'ammiraglio Cagni. Alle sette della mattina dopo, sulla torpediniera «16 0. S. » partiamo per Venezia.