mi strappa brutalmente dal collo ima reliquia in cui sono i capelli di mio padre e di mia nonna, mentre cerco di non perdere di vista il quadrante dell’orologio. Le sei e ventotto... Le sei e ventinove... L’esplosione ! Un rumore sordo, un boato profondo, non lacerante, anzi piuttosto lieve. Un’alta colonna d’acqua. La coperta che vibra e scrolla e vacilla sotto i piedi... Mi volgo intorno. Non c’è più nessuno. Ciascuno ha pensato a salvarsi. C’è, però, Von Vucovic, armato e con la cintura di salvataggio. C’è l'ingegnere che continua a spogliarsi da solo e mangia intanto un pezzo di cioccolata che gli è caduta dal costume. Mi chino sull’ingegnere che aspetta, muto, d’essere aiutato; e gli dò una mano perchè céleremente si svesta. Infine egli, rivolto al Comandante, dice: — Per legge di guerra, noi abbiamo diritto a salvarci. 11 Comandante tende la maino ad entrambi, c’indica una corda lungo la quale possiamo scendere in mare, ci mostra un battello che passa, al quale possiamo afferrarci. Mi getto per primo a nuoto verso il battello. Mentre sto per raggiungerlo, vedo un ciuffo di capelli a fior d’acqua. Lo tiro su: è un marinaio italiano, non ricordo se di Pisino o di Rovigno. Tento d’aggrapparmi all’imbarcazione, ma uno di quelli che v’è sopra grida agli altri che io non debbo montare a bordo. E fa per colpirmi sulle mani col remo, lo afferro il suo remo e mi ci attacco. Lui sta per prendere un altro remo, quando il marinaio italiano, salito sulla lancia, mi tende una marno. Intanto l’ingegnere ci raggiunge e s’imbarca con me sul battello. Ci voltiamo a guardare la tragica scena : nel chia- - 131 -