rive della Livenza. Nel pomeriggio, il Reggimento Marina entrava nel paesetto medioevale di Caorle, antico porto fiorente di commerci e di vita, quando intorno all’anno Mille era lo sbocco della marca trevigiana. I paesani di Caorle, col loro sindaco alla testa, — uomo di mirabile patriottismo, che in questi ultimi mesi ha con rischio mortale nascosto in casa sua nostri ufficiali informatori sgusciati nottetempo fino alle spalle del nemico travestiti da contadini e li ha animati con ogni mezzo nelle loro audacissime missioni — sono corsi incontro, braccia tese, alle prime compagnie dei marinai arrivanti. — Gli austriaci sono scappati poco fa... Erano in tumulto... Non hanno potuto portar via che poca roba... Vivala Marina italiana! Caorle è intatto, colle sue casette allineate verso la spiaggia, col suo vecchio duomo dal bel campanile cilindrico, come una torre di ròcca. Ma quanti guasti vandalici all’intorno, nella campagna bonificata ! II nemico, nella furia dello sgombero, nella collera dello scacco subito, impotente a trattenere la nostra pressione, s’è sfogato nella distruzione delle più moderne opere idrauliche. Ha minato le macchine idròvore che regolavano la distribuzione delle acque per la laguna della Livenza, ha fatto saltare i bacini collettori, i fabbricati, gli argini dei canali. La campagna allagata appare ancora più squallida, ma più cara all’anima dei vincitori, flagellata com’è dall’ultima frettolosa esplosione d’una barbarie inutile e doma. Le casse di cottura col rancio non arrivano. La via percorsa è stata troppo lunga. I rifornimenti non riescono a tener dietro ai reparti combattenti, tant’è stata veloce la marcia. Non importa. Nessuno se ne lagna.