pianti d’avvistamento e di vedetta, senza contare il dispendio morale d’una preoccupazione senza riposo. La Marina austro-ungarica vide violati per l’audacia e la pertinacia avversarie: il porto di Parenzo e quello di Trieste nella primavera del 1916; quattro volte quello di Durazzo (giugno-novembre 1916); il rifugio del Canale Fasana (2 novembre 1916); quello di Trieste una seconda volta coll’affondamento della Wien e l’inutilizzazione della Budapest (IO dicembre 1917) ; quello di Bùccari ( 10 febbraio ! 918) ; quello del Canale di Selve (febbraio 1918); quello di Pola (14 maggio 1918); quello di Durazzo per la quinta volta (12-13 giugno 1918); quello di San Giovanni di Medua (settembre 1918); e quello di Pola per la terza volta (31 ottobre 1918); senza contare le offese senza requie recate a tutte coteste basi ed a Fiume, a Cattaro, a Se-benico, ai porti minori dalle grandi spedizioni aeree delle nostre squadriglie d'idrovolanti. Con tali azioni la Marina italiana distrusse una parte dei trasporti militari austro-ungarici e, non rischiando se non piccole unità, silurò molte navi da battaglia, ne immobilizzo altre per lungo tempo; ottenendo così maggiori risultati di quelli che avrebbe potuto forse conseguire se il nemico fosse uscito un bel giorno a correr l'alea d’una partita. Come se questo non bastasse, la nostra Marina finì — non solo col vietare in modo assoluto alla flotta nemica l’uso dell’Adriatico — ma la costrinse a non poter navigare nemmeno per i canali interni di casa propria, ed a non sentirsi sicura neppure negli ancoraggi meglio protetti dei suoi porti militari. Nessuna grande battaglia navale avrebbe potuto fornire all’Italia, strategicamente tanto inferiore alla sua antagonista, un complesso di risultati equivalente. — 193 —