ancora per l’ànsito della corsa le navi italiane, — echeggiano del canto degl'inni nazionali cantati da centomila bocche non avezze a lanciarli impunemente a gola spiegata, in faccia al mare di Venezia, ai piedi di San Giusto. Ma che cosa sono, che cosa ho fatto di bene nel mondo, perchè Dio mi desse questa giornata che generazioni e generazioni d’italiani hanno atteso invano, soffrendo il martirio, mentre stasera l’Ermada così torvo e fosco ricorda a tutti noi che i più prodi di noi giacciono dietro quella muraglia affocata eh’eravamo abituati a veder sempre, terribile, irraggiungibile, dall’altra parte ? Mentre le lagune di Cortellazzo e di Sdobba che abbiamo intraviste nella nebbia dall’alto delle prue vittoriose, passando, chiudono nelle loro marcite sinistre i corpi che s’avventarono alla morte per veder questa giornata, nè chiedevano altro premio? Ciò che altri, senza la nostra fede, avrebbe creduto inverosimile, è vero. La speranza di ieri, è un fatto. Come il cervello d'un uomo può in questo momento, in questo luogo, in questa prima notte italiana riassumerlo ? Anche la gioia umana ha un limite ; anche la commozione ha un limite. Al di là, la memoria vacilla. E poiché ho il compito di descrivere la spedizione navale che ha sciolto il voto seicentenario dei connazionali dell’altra sponda, non posso che trascrivere le mie note di viaggio. Venezia, ore 5. — Le torpediniere, i caccia, i trasporti, fumano nella notte nebbiosa che ancora non schiarisce nell’alba. Eruttano vulcani di nafta incombusta che avvolgono la città d’una caligine nera. 1 « Mas » fremono nel buio. Bagliori e faville di caldaie che s’accendono. 1 bersaglieri del generale — 53 -