rada e la fila delle grandi navi. I pachidermi da colpiTe sono laggiù, in fondo, confusi nella semioscurità e nella caligo. Sono enormi, mostruosi, sono corazzati di piastre massicce, hanno a bordo più cannoni d'una fortezza, più munizioni d’un proiettificio, più mitragliere d'un reggimento; stanno in un covo formidabile. Come possono osare, come possono presumere di colpirli a morte due soli uomini aggrappati ad un galleggiante minuscolo, già in molle da oltre cinque ore, già stanchi per la fatica ed il dispendio nervoso impiegati nel passaggio delle ostruzioni, già intirizziti di freddo, già isolati dal mondo dei loro compagni ? A questo punto, di fronte a tale domanda, di fronte a tanta sproporzione di forze e di mezzi che solo la grandezza dell’anima, della volontà, dell’idea può compensare, lo scrittore deve tacere. Ha da parlare l’eroe : lui solo, con la sua nuda e disadorna semplicità dell’uomo che ha fatto e patito l’azione che racconta. E poiché esistono i rapporti di Raffaele Rossetti e di Raffaele Paolucci al Capo di Stato Maggiore della Marina, lo scrittore ha il dovere di lasciare ad essi la parola e non distruggere con lo stile della propria personalità la rude efficacia dei distruttori di corazzate. IL RACCONTO DI RAFFAELE ROSSETTI. Narra il maggiore Rossetti, promosso tenente colonnello per merito di guerra: Data l’ora ormai avanzata della notte e la pressione di circa 120 atmosfere — troppo scarsa per assicurare il ritorno — decidiamo di comune accordo di proseguire fino alla nave ammiraglia nemica, il cui affondamento ci era stato indicato come particolarmente — 115 -