digrada a levante, verso la collina di San Giusto. La vidi l’anno passato, nella nostra offensiva di maggio. La rividi nell’offensiva d’agosto. Poi... poi non la vidi più. La riveggo stasera. Sia lodato Iddio d’Italia ! La nostra torpediniera capolinea ha un fremito in avanti, uno scatto improvviso. Gli spruzzi salsi feriscono le nostre pupille, ma le pupille non si chiudono. Fra la caligine, ecco biancheggiare un castello e una torre. Miramare ! Passano pochi minuti. Ecco i contorni ancor vaghi della città. Lumi s’accendono. Razzi brillano. Fuochi di gioia sulle colline. Sulle fortificazioni più alte, scoppii di munizioni fatte saltare. Fumi di treni che se ne vanno... E questo clamore di campane che ci viene col vento ? Dev’essere crosciante, perchè vince il fragore delle nostre macchine in corsa. E questo rimbombo come di tuono, strano, continuo, crescente, che ci martella le orecchie, prima che gli occhi possano vedere nella caligine vespertina ? Forse un bombardamento lontano ? Ci sentiamo più pallidi, perchè riconosciamo che non è rombo d’artiglierie, è clamore umano ! Gli occhi si velano. Un singhiozzo ci stringe alla gola. Oltrepassiamo le dighe. Un motoscafo, con bandiera italiana, è già venuto incontro alle navi, accosta ai fianchi dell’ « Audace ». Sono i rappresentanti della città, i membri del Comitato provvisorio, Alfonso Valerio e il socialista Puecher, che vanno dell generale Petitti. Entriamo nello specchio grande del porto, in cui migliaia di lampade elettriche riflettono e moltiplicano i barbàgli delle luci. Tutte le finestre dei grandi palazzi prospicienti la riva sono illumiti. Hanno tutte il tricolore pendente dal davanzale. La riva, i moli, le banchine, la piazza grande, gli scali, i tetti, i balconi - 62 —