LA VITA DEI CARCERATI LA vita alla fortezza di San Giovanni (come del resto nelle altre carceri) era un vero inferno. Il vitto — commenta Mario Rier in un suo promemoria — era troppo per morire di fame, troppo poco per vivere. Comunque impossibile a mangiarsi da esseri che avevano la disgrazia di chiamarsi uomini. Esso consisteva in una microscopica razione giornaliera di pane fatto più con segatura che con farina, ed in una porzione di brodaglia chiamata zuppa, fatta con un’erba speciale da molti battezzata „reticolato“ tanto era dura e spinosa. La cucinavano con tutto il gambo e prima di esser messa a bollire veniva tenuta un giorno intero a bagno-maria per renderla più tenera. Causa il trattamento, i locali umidi, non sufficen-temente ventilati e del tutto inadatti all’abitazione di esseri umani, molti fra i reclusi ammalarono e dovettero essere ricoverati all’ infermeria della fortezza dalla quale purtroppo pochi fecero ritorno. Per questo fatto fra i carcerati prese credito la