_____________________________________3t dei etc. Item proemio scripto in principio voìuminis siatutorum Jadre quod incipit : incipit prohemium voìuminis statutorum civitatis Jadre compilati sub millesimo trecentesimo quinto ecc. Non minus visa quadam reformatione scripta sub millesimo trecentesimo primo ind. quartadecima, die vigésimo octavo mensis maij, cuius inicium est : in Maiori Consilio more solito congregato etc. ». Per mezzo di questa sentenza, nella quale vengono separatamente ed espressamente citate le due introduzioni, abbiamo la prova evidente che Capitolare e Statuto erano due libri diversi. Inoltre vi è poi nello Statuto a stampa una decisione del 1563 del « Consiglio delli nobili di Zara » in cui è detto : «... che non obstante la legge del capitolario a cap. XIX si debba di coetero inviolabilmente osservar, secondo l'antiqua consuetudine, che li cognati per gli cognati non possono ballottar in Conseglio ... ». In questo caso il termine di capitolare potrebbe intendersi anche come sinonimo di deliberazione, perchè si richiama appunto al capitolo che figura sotto quel numero fra le reformazioni. Colà esso deve però essere stato collocato molto tardi, prendendolo probabilmente dal vero e proprio Capitolare. Gli Statuti dalmati dal lato formale. La prima constatazione che si fa leggendo gli esemplari degli Statuti a nostra disposizione, siano essi manoscritti o stampati, si è che abbondano di errori, ad eccezione di quelli di Arbe e di Veglia, i cui editori curarono molto, tanto la scelta del testo, quanto la stampa. Per quello di Veglia poi c’ è ancora da osservare che esso si stacca da tutti gli altri per le molte disquisizioni dottrinarie aggiunte ai singoli capitoli, dovute certamente a qualche colto giurisperito che in tempi posteriori venne incaricato della sua revisione. Purtroppo fra coloro che nel passato provvidero a far^ copie degli Statuti originari, molti per disattenzione, altri senza dubbio anche per ignoranza, non riprodussero sempre fedelmente il testo che dovevano trascrivere; peggio ancora se a qualcuno capitò sotto mano una copia già fatta male. Avvenne così che vi fossero in circolazione, e che siano a noi pervenuti, più esemplari di uno stesso Statuto, non identici fra loro. In certi casi è senz’ altro evidente che la diversità di qualche parola è dovuta a difetto di trascrizione, ma in altri si tratta di alterazioni del testo stesso, commesse forse da qualcuno che aveva la buona intenzione di correggere errori avvertiti nella copia che stava trascrivendo. Gli studiosi moderni che impresero la pubblicazione a stampa degli Statuti, con un po’ di attenzione e di pazienza, avrebbero potuto far sparire diversi errori. In molti casi sarebbe stato possibile derivare il testo verisimilmente esatto per mezzo di opportuni raffronti fra i diversi codici di uno stesso Statuto, oppure confrontando uno Statuto con altri, facendo poi conoscere le diverse dizioni del manoscritto per mezzo delle note. Non se ne giova la verità storica, se per pubblicare fedelmente un determinato codice si perpetuano errori palesi, di cui molti dì grammatica e di sintassi, come fece l’Accademia delle Scienze