40 ponendolo al giudizio di Niccolò Tommaseo. Non osavo sperare riscontro, e l’ebbi invece umanissimo e paterno. 11 Tommaseo mi confortò a studiare ed a proseguire. Ed io studiai, ma errando sempre. Pieno della lettura degli Inglesi e dei Tedeschi, innanzi di provare le mie forze, mi condannai ad una falsa e servile imitazione, onde uscì, oscuro mosaico, un Werner che pubblicato nella Rivista Contemporanea, il Tommaseo in una lettera piena d’ affetto severamente mi condannò. Dagli Inglesi e dai Tedeschi mi gettai sovra gli Spagnoli, e credendo opportuno imitar tutto, feci a vent’ anni un Don Rodrigo, ultimo re de’ Visigoti, che, letto, passò indifferente, messo in scena, dispiacque, malgrado il valore degli attori. E cessai dal far drammi ; continuai a studiare ma sempre affrettato di far molto, più che di far bene ; tuttavia in me non s’ affievolì mai nè 1* amore, nè il culto dell’ arte ; destinato ad insegnare, cercai d’infondere ne’ miei giovani alunni un poco di vita Italiana; ed io frattanto mi venni a poco a poco staccando dalla servitù del pensiero, studioso d’essere mio, e di appartenere in tutto alla mia terra. Così, a poco a poco, il genio straniero, eh’ io non cesso d’ ammirare, cessò di tiranneggiarmi ed io, dopo tre anni di riposo da’ tentativi drammatici, mi sento come rinvigorito e rifatto. Nel riposo però non oziai, e studiando di crescere le mie cognizioni, non fui creduto indegno d’insegnare in questa città gli elementi di quella lingua Indiana, i quali appresi da me, confermai in più severi studii nel soggiorno di un anno che fui in Berlino, sotto la disciplina di filologi meritamente illustri. La scienza tuttavia non mi fece tutto suo per modo che 1’ arte alcuna volta non mi voglia a sè, e s' io pur facessi forza a vincere questa mia passione innata per le lettere, oltre al preparare la mia infelicità, nuocerei alle mie stesse occupazioni scientifiche, alle quali con più amore e più raccoglimento ritorno dopo avere disfogato la piena del cuore e della fantasia. Perch’ io sarò impotente a far cose grandi, ma nel desiderio di farle, sento crescere la mia dignità personale ; perocché il grande non mi par possibile senza il fondamento del buono, ed al buono avendo ogni uomo debito di adoperarsi, io non potendo disporre d’ altri mezzi tento 1' arte, della potenza ed efficacia della quale io non ho mai saputo dubitare. Altri all’ infuori di Lei, mi potrebbe domandare il motivo di tutta questa inattesa e non chiesta confessione; ma il Tommaseo che m’ eccitò a fare, era bene in diritto di sapere come avevo speso i sei anni della mia esistenza, nei quali mi sottrassi alla sua sorveglianza. Ora, essendo io in Firenze, e dovendo chiedere il favore che sia concesso a questo figlio prodigo di ripatriare, non potei tacermi. Che più? Avendo speso un po’ di tempo attorno ad un bel soggetto tragico; nello scopo di rilevar me stesso e, potendosi, altrui, con l’arte, io chiedo al Tommaseo il permesso di potergliene dar lettura e raccoglierne que suggerimenti, per i quali, se la nuova via da me eletta è buona, io posso conservarmi e migliorarmi. La nuova mia tragedia si volge intorno alla Morte di Catone; innanzi di trattarla, io dubitai lungamente, domandando a me stesso