35 E guardate con che effetto descrive la massa di popolo che, con morbosa curiosità, assiste al taglio delle treccie d’ una monaca : Le done fa i giri — le spenze le fraca i fianchi le maca — le issa i putei le mostra coi dei — guei grumi de oro quel rico tesoro; — la testa che resta pelada che bruto momento che pianzer el fa. E co la xe fata — le man i ghe basa e in coro i travasa — cafè e cicolata. Ultimi versi, che anche senza quella fortuita coincidenza del « travasa », arieggiano stranamente ai migliori versi delle « Ciacole del Bepi ». Non grande poesia certamente e forse nemmeno poesia, ma versi schietti e sinceri che hanno avuto ed avranno un loro particolare valore e una loro piccola ma genuina ragione d’ essere. Di letteratura narrativa il Sabalich ci ha dato saggi nei suoi anni giovanili, mentre nella seconda parte della sua fecondissima attività di scrittore si dedicò quasi esclusivamente alle monografie storiche. Sotto il pseudonimo di P. Di Castelvetro pubblicò presso il Woditzka nel 1880 un gruppo di racconti « Profili », dedicato agli studenti della Società Accademica Dalmazia di Graz. « Amici miei - scrive nella dedica - questi poveri bocci in fioritura, usciti a vanvera sulla « Palestra », da voi pur tanto amata, rivedono ora la luce della pubblicità in questo modesto libriccino : un libriccino come in oggi tutti li sanno fare, tanto pel brusio di metter in gala le proprie opinioni o le proprie fantasticherie. Scritti « tra lo studio e lo svago » come direbbe il Giusti, ho cercato di correggerli da quei tanti vizierelli di cui nessuno va senza e che ho scorti più tardi coll’aiuto di due grandi maestri : il Tempo e il Consiglio. Li dedico a voi : a voi che pur lontani dalla patria, indefessi coltivate la lingua che suona dolcezza e amore ». Seguono i sette bozzetti, di ambiente borghese, torinese e veneziano, uno è uno schizzo militare alla De Amicis e l’ultimo è una colorita descrizione di una festa goliardica nel gran salone della Bierhalle: seicento giovani rumorosi, parlanti diverse favelle, gonfaloni sbandieranti, discorsi, canti, tavole imbandite, fiumi di vino e di birra; visione di baraonda fermatasi alla cronaca e non assurta ad arte, chè forse ci sarebbe voluto il genio d’ un Rembrandt. In « Chiacchiere veneziane », che scrisse nell’ occasione d’ un ritorno alla sua Venezia nel 1887, affiorano tanti ricordi degli anni giovanili colà trascorsi ; questi bozzetti autobiografici sono più sentiti, più vivi, più freschi, più perfetti di quelli di « Profili »; e già, qua e là, in mezzo a descrizioni di ambienti ora popolari ora lussuosi, di vicende ora tristi