31 della più netta ragione; segni di bontà che i suoi amici chiamavano, e noi pure suoi biografi chiameremo, in ischietto veneziano, col nome di « fregae ». Insomma del « vecio Sabalich » io, quindicenne, avevo un’ idea piuttosto unilaterale per dirla eufimisticamente, ed anche il « Sì » che in quei primi anni della redenzione sgorgava spontaneo, trionfale e festoso dalle bocche dei dalmati tutti ed echeggiava più volte al giorno nei cortei, nei ritrovi, nelle piazze, nei caffè senza che mai il popolo si stancasse di cantare le elettrizzanti strofe, anche il « Sì », senza del quale non si può concepire tutto il periodo del nostro irredentismo che va dal 1890 al 1914, quel « Sì » che cantato con pericolo e sottovoce anche durante la guerra, eruppe dai petti nel novembre del ’18 e riempì di se ogni giorno, ogni ora di quegli anni di gioie, di speranze e di delusioni, perfino quel « Sì » non riusciva a colorire ed innalzare ai nostri occhi la pallida e ormai curva figura del suo autore, conosciuta da noi solo parzialmente e catalogata ormai fra i timidi e i pavidi. Ma forse quella canzone era tanto connaturata nel popolo di Zara, era tutto il popolo, era tutta Zara, che a noi ragazzi non sembrava nata da uno solo e forse allora non pensavamo, come lo pensiamo ora, che Giuseppe Sabalich aveva personificato l’anima popolare in un epoca eroica di tutta una città. Quello che più tardi, studenti liceali estetizzanti in erba, ci fece guardare con occhio più curioso e con nuovo interesse l’emaciata figura di quell’arguto vecchietto, quasi raccolto in se, seduto su d’ uno sgabello di una libreria o d’una farmacia, e diede la spinta a conoscere meglio tutta la sua opera e la sua vita - l’artista e 1’ uomo - fu 1’ esserci capitato fra le mani, in una delle scorribande nella biblioteca paterna, un vecchio numero deH’Annuario Dalmatico e l’aver incominciato, più per capriccio che per buona volontà, a leggere le prime righe d’ un atto unico di Giuseppe Sabalich: presi dalla vivezza e modernità del dialogo, dalla freschezza della lingua e forse anche dalla mondanità dell’ argomento, finita la lettura della commediola in un’ora, chiedemmo subito al babbo se quel Sabalich moderno, brillante ed umano commediografo era quel timido topo di biblioteca che vedevamo, ormai sempre più raramente. Giuseppe Sabalich moriva il 13 settembre del 1928. Il Comune di Zara, trascorsi i dieci anni di veto prescritto dalla legge, ha voluto intitolare una delle sue calli più tipiche al poeta della sua vene-zianità : amò, il Sabalich, Venezia con passione e nostalgia da buon za-ratino, amò Zara con paterno amore da vecchio veneziano ; era il rappresentante più^perfetto e più puro di tutto quel complesso di cose che da noi, mezzo secolo fa, valeva a significare il binomio Zara-Venezia, era la quintessenza della zaratinità ; nacque, scrisse il « Sì » ed esalò 1’ ultimo respiro in tre diverse case, tutte di Calle Larga! E questo zaratino al cento per cento, questo nostro concittadino co-