3 cidi’ iMedmtUmo- (Phmte&óa, (,) Il nostro irredentismo si suol far nascere nel 1866. Ed è giusto, in quanto si voglia narrare la storia di Un suo determinato periodo, cioè quella parte della nostra storia regionale che s’inizia con le tragiche giornate di Custoza e di Lissa e si compie con la sconfitta dell’ Austria sui campi di Vittorio Veneto. Ma se noi, superando l’esclusivo interessamento ai fatti che si svolsero entro quei modesti limiti cronologici, vogliamo penetrarne il significato più profondo, risalire alle cause primissime, prevedere le ultime conseguenze, troveremo che l’irredentismo non è un fenomeno locale nè temporale : è la manifestazione di una legge di natura, che opera in tutti i luoghi e in tutti i tempi e appunto da questo trae la sua intima forza e la sua ragione più legittima. Conviene tenerlo presente sempre, radicarselo bene nella coscienza, per non credere che sui campi di Vittorio Veneto si sia risolto un problema di mera contingenza politica e che aver vissuto il dramma dell’irredentismo fra il 1866 e il 1918 sia stato come assistere a un qualunque episodio di storia italiana anziché fare una tremenda esperienza d’una delle più elementari leggi della vita, vivendo l’attimo del tempo nella atmosfera e nel clima dell’ eterno. In ogni agglomerato d’ uomini ordinati a convivenza civile, si rivelano presto o tardi due tendenze che li raggruppano diversamente e che hanno la forza e il valore di due categorie aristoteliche : quella alla conservazione e quella all’ innovazione. I guelfi e i ghibellini, cittadini antagonisti di una medesima città, non sono esclusivamente italiani nè tedeschi, e non sono esclusivamente medievali. (') Riassumo qui ciò che svolsi nel saggio Ufficio della letteratura in terra di confine (v. «La Porta Orientale», Trieste, dicembre 1932).