47 all’ aria quel po’ di pseudo-tabaccaccio, che era forse la sua unica riserva. Ho ancora presente 1’ occhiata torva colla quale mi investì in quel momento. Pensai, anzi, che stesse per reagire. Gli domandai, in tedesco, se fosse lui realmente il Preside del liceo di Trieste. Me lo confermò, sgranando gli occhi. Io aggiunsi, sempre in tedesco, perchè molti mi ascoltavano : « Non basta asserirlo ». Quindi gli diedi 1’ ordine di prendere la sua valigetta; ma poi subito girai l’ordine al piantone, al quale sussurrai che, per sorvegliarlo meglio, l’avrei tenuto nel mio ufficio. Nella mia stanza faceva un bel caldo. Lo invitai a sedere su di una seggiola, mettendogli davanti una scatola di fine sigarette e di fiammiferi. Non voleva sedere, nè accettare la sigaretta. Dopo averlo guardato per un po’ di tempo in tono tra il benevolo e il canzonatorio, presi una sigaretta per me, misi un’altra in bocca a lui, accesi un fiammifero e gli offersi il fuoco. Resisteva ancora. Allora, tutto di un tratto, gli dissi nel nostro dialetto veueziauo : « Va là, fuma ; no le xe miga avelenae ». Non trovo una parola adatta per dipingere il suo stordimento. Non posso dimenticare l’ansia colla quale mi domandò: « Ma chi la xe, Lei?». Non v’ era tempo da perdere e gli dissi il mio nome ed i miei sentimenti. Il nome lo ricordava nebulosamente. Poi continuando nelle confidenze lo avvertii della sua condizione di « spia ». Ma dalle sue delucidazioni e dalla lettura dei documenti che lo riguardavano compresi che tutto si riduceva ad un equivoco del caporale briaco. Il Baccio Ziliotto era contrassegnato semplicemente con un P. U. che voleva dire, in tedesco : Polìtisch unver-làssUch, ossia « politicamente infido », la solita clausola che accompagnava la maggior parte degli italiani, e che inoltre si era reso colpevole di autolesionismo, per non voler restare più in zona di guerra. Egli cioè si metteva delle sostanze irritanti nelle congiuntive per simulare una malattia infettiva agli occhi; cosa che però non gli era riuscita perfettamente. Lo mandai all’ ospedale di riserva N. Ili (occhi, naso, orecchie) e lo raccomandai ai miei colleghi, presentandolo come un intellettuale. Dopo alcuni giorni andai ad informarmi di lui ; ed il medico del reparto mi disse di influire sul mio amico perchè non continuasse più a mettere sostanze nocive nell’ occhio, perchè ciò non gli giovava a nulla. Se si fosse comportato a dovere, lo avrebbero tenuto all’ ospedale ancora una quindicina di giorni. Riferii subito un tanto a Ziliotto, il quale mi diede la sua parola che non si lesionava e che quindi le illusioni del medico non erano giustificate. Questi, al quale riportai le predette parole, mi guardò con un senso di commiserazione per la mia ingenuità nel credere o per l’impudenza colla quale volevo far credere agli altri le cose più stupide. E Ziliotto fu trattato da allora in poi come un ignoto qualunque. Ma non fu punito, certo per merito della mia raccomandazione che, modestia a parte,