GIUSEPPE SABALICH LETTERATO E STORIOGRAFO ZARATINO Abbiamo conosciuto Giuseppe Sabalich - come molti zaratini della nostra generazione - in uno dei suoi luoghi preferiti, durante il quotidiano riposo, in uno dei suoi atteggiamenti più comuni, seduto, quasi rannicchiato, nell’ angolo più remoto della Libreria Nani. Ragazzo, accompagnavo il babbo a comperare i giornali, e durante i cinque minuti della sosta di prammatica, avevo agio di osservare il « vecio Sabalich » accarezzarsi a scatti, colle dita nervose, la barbetta e i lunghi baffi, da tempo brizzolati; rosicchiando un bocchino fissava i suoi occhietti scuri piccoli vispi mobilissimi, un attimo, ora su 1’ uno ora su 1’ altro, mentre, quasi con circospezione, gettava in mezzo al discorso un motto arguto, una battuta di fine umorismo che quasi sempre svelavano una vasta dottrina in generale e soprattutto una conoscenza, che non sarà facilmente mai superata, di uomini, cose e avvenimenti d’ ogni tempo della sua adorata città. Nato a Zara il 13 febbraio 1856 da Giuseppe e da Rosa Vucovich, fu portato di pochi mesi a Venezia dove dimorò fino al 1866, e dove fece la prima ginnasiale al S.S. Gervasio e Protasio. Stabilitasi la sua famiglia a Zara incominciò a scrivere giovanissimo (sedicenne, tenne su per qualche numero un giornaletto scritto e stampato a mano da studenti ginnasiali, il «Tra Noi» nel 1872); laureatosi in legge a Graz ottenne un posticino al « Governo » dove era pure consigliere il padre suo; spirito d'artista, insofferente d’ogni schiavitù burocratica e già anelante a una più libera e intensa attività giornalistica e storica, lasciò ben presto il posto ; gli tenne dietro il padre che chiese il pensionamento, non sembrandogli più opportuno confinare a servire il Governo, dopo di aver dato il proprio consenso al figlio di allontanarsene. Più tardi il Sabalich si mise a fare pratica notarile nello studio del Pappafava, ma presto si accorse, e tutti con lui, che non avrebbe mai avuto nessun desiderio di diventare notaio e che la pratica notarile gli serviva, forse inconsciamente, di pretesto per sviscerare e disotterrare i più interessanti e preziosi elementi da quella miniera di libri, pergamene e manoscritti che costituivano la nota biblioteca Pappafava.