35 1’ affetto di colei che gli fu intelligente compagna, non permette che vadano smarriti o distrutti, si possono leggere queste parole : « E rimasi a mezzo ; abbandonai allora la (omesso) e mi gettai nel teatro. Scrissi per il Corazza, per il Papadopoli, per il Brunorini lavoretti che non varcarono il gran mare e rimasero tentativi di un dilettante di provincia ; le mie opere furono recitate a Trieste, Padova e Venezia ma non c’ era Enrico Gallina a farmi diventare celebre come fece di suo fratello Giacinto ». Parole dalle quali traspare tutta l’umana amarezza per la gloria mancatagli ; non crediamo che un Enrico Gallina avrebbe potuto procurargliela, certo però che la produzione del Sabalich non fu molto inferiore a quella dei tre più fortunati commediografi veneziani, Gallina, l’erede pensoso di Goldoni, il Selvatico e il Pilotto; non fu però un teatro dialettale originale, e mentre abbiam detto di preferire i sonetti dialettali del Sabalich a quelli in lingua, qui la coscienza dell’artista regionale riesce in parte a fondersi in una più vasta coscienza nazionale, la borghese e verista coscienza nazionale dell’ epoca ; il teatro dialettale non facilmente riesce a passare i limiti d’una rappresentazione coloristica della querula vita provinciale, ed anche le commedie in dialetto del Sabalich sono naturalmente limitate a un sentimentalismo di prammatica, pur accennando quà e là alcune più tenui sfumature dei nostri sentimenti che preludono una più tormentata comprensione della vita; ma la prova che, in dialetto, non raggiunse una piena intima e sottile comunicazione colle anime più squisitamente moderne dell’ epoca, la si ha nel non essere stato mai l’autore di Ferruccio Benini, il sensibilissimo e modernissimo artista, non serenamente goldoniano, ma mirabile interprete di ogni più riposto e geloso affetto umano, di ogni più profonda e indefinibile passione. La vivace, la comunicativa, la briosa Zanon fu la sua interprete ; sfacciata petulante, linguacciuta la Zanon nei noti monologhi del Sabalich, veri torrenti, chiari, limpidi, irruenti di parole, di motti arguti, di sottintesi maliziosi, di pianto e di riso. Nell’autore e nell’ interprete lo stesso amore per la frase incisiva, per la botta pronta e precisa, per il commento finemente satirico. « I oto giorni de Gegia », « La mare dei gati », « La fiorerà », « La comare », « La bela Nene » detti dalla Laura Zanon-Paladini, credo costituiscano ancora fra i più lieti ricordi di teatro della generazione che allora ventenne è ora al tramonto. Lieti ricordi di matte e genuine risate. Ma « perchè un monologo piaccia non occorre poi sempre che faccia ridere » annota giustamente il Sabalich proprio in una lettera alla Zanon, nella quale esprime pure il rincrescimento per avergli Benini restituito un copione ; in un poscritto a tale lettera aggiunge : « sono papà - cara amica - dalla seconda festa di Pasqua, e mio figlio fa già dei monologhi ». Il figlio, il suo unico figlio, di cui allora il padre comunicava agli altri con trepidante gioia i primi vagiti, tredici anni dopo gli moriva di morbo infettivo dandogli fra tante apparenti angoscie un crudo dolore reale.