8 cui il nostro sforzo lo imprigiona, sta un senso di colpa che ha in sé già l’espiazione: il grido del sesso si spezza in vaneggiamento, cerca appagamento in congiungimenti impossibili, e, smarrendosi fuori della sua propria legge, trova il suo piacere nella frode, la libertà nell’ errore, la verità nell’illusione e, finalmente.il castigo nella nausea e nell’onta. Tale era la rappresentazione d’ amore nella letteratura, sullo scorcio del secolo contemporaneo al Colautti. I libri più ammirati lo dipingono in questi cupi colori, come un’ acre tortura cui soggiacciono uomini e donne, attratti dal chiaro appello del sesso, eh’ è la febbre nuziale della natura, e respinti ad un tempo da inibizioni, che rendono ogni fusione un processo dolente come una su.tura. Per cui si perdono in un viluppo di inganni, dove il piacere è un delitto che si paga, e la nausea, che ne segue, li lascia più estranei e nemici e più soli nel loro mai sazio egoismo : anime aliene, costrette a toccarsi in micidiali contatti, che vanamente aspirano all’ integrazione nel panteismo della natura. I grandi romanzi di Flaubert, di Zola, di Tolstoi, di Bourget, di D’Annunzio, il teatro di Ibsen e Strinberg, sono pieni di questo dramma del sesso, di questa tragedia della passione, che partita dall’ amore si strania nei contatti e contrasti sociali, e corre la sua carriera in una pazza gara di soddisfarsi in odiose possibilità. Perciò quei romanzi non sono più pure opere d’arte, ma disamine cliniche, studi rappresentativi di una società in fermentazione, analisi psicologiche, che esplorano regioni della psiche dove nessuno era prima calato, rivelando rigurgiti di allucinazioni, coaguli e fermentazioni di affetti e d’immagini, che deprimono e rubano 1’ anima al giuoco molteplice e vivo delle sensazioni, e danno un senso di sgomento e di ribrezzo a chi legge, come quei libri ossessivi del Dostojevski, che trivellano, frugano il cuore con una morbosa, monotona, desolante insistenza, sino allo strazio. Questa letteratura è come una grande clinica, dove si aggirano pallidi i malati d’amore, per i quali la limpida sorgente dell’ istinto s’intorbida di sangue: Emma Bovary, Anna Karenina, Andrea Sperelli, Hedda Qabler, si torturano e si spezzano contro la fatalità del suicidio e della follia. Anche il Colautti, nei suoi romanzi anteriori al poema, Primadonna, Il Figlio, Fidelia, ci dà lo stesso tragico quadro d’amore come pervertimento e delirio. Allato a Diana e a Costanza, femmine frigide e splendide, contro cui s’infrange e rimbalza ogni affetto di anima, son le fragili vite e i cuori complessi di Fidelia e di Bianca Montalto, piccole ribelli, che amano 1’ amore per lo spasimo più che per 1’ ebbrezza del bacio, e soggiacendo al suo fascino, ambedue, oppresse dall’ incubo del pregiudizio, si castigano, torturandosi goccia a goccia, ed espiano colla vergogna e la morte la loro colpa sociale. Invano il fulgore della scienza e dell’ arte circondano di lustro e di gloria le loro gelide alcove, invano Paolo Emilio e Speraldi si affaticano