dall’« AUTOBIOGRAFIA » 119 barca il Dravo, giacché privi d’ ogni compagnia eravamo restati noi tre soli. Fatto questo passaggio, fui preso da una indicevole tristezza d’animo, per la dissenteria che mi cominciò, senza lasciarmi per tutto il resto dell’ autunno e per tutto l’inverno che sopravvenne: infermità così grave, che mi ridusse quasi all’ ultimo della mia vita. Attraversassimo la Schiavonia, alloggiando ogni sera in villaggi de’ cristiani, che non mancarono di darci in cibo galline, ovi, frutta, ed a me particolarmente pane. Passassimo il Savo a Babinacreta e lungo il fiume Bosna entrassimo nel regno della Bosnia, pigliando la strada del Seraglio, sua città capitale, per effettuar ivi la mia liberazione, secondo sotto Vienna me n’ero obbligato. Ma l’infermità mi cresceva, le forze mi mancavano ed il mio padrone non volea permettermi altro rimedio che il mangiar frutta, le quali si trovavano in abbondanza e squisite. Al veder da lontano la suddetta città di Serraglio mi oggettava in prospettiva la prossima fortuna, eh’ io speravo, della mia liberazione. Ivi subito giunti, li due fratelli miei padroni mi obbligorono a scrivere a Filippo Bernacovitz un viglietto, il quale conteneva: eh’ era in quella città capitato schiavo quello istesso al quale nell’anno 1680, nel mese di