RAGGUAGLIO 63 ridottici a soli 60, ci promettemmo insieme la fede di difenderci, appresso di un’acqua aspettando la notte vicinissima, per poterci con quella ritirare verso del lago di Naisidler. Ma la forza de’ tartari e l’empietà de’ ribelli ci prevennero, attaccandoci da tutte le parti con un’indicibile furia e passando tutti a fìl di spada e di frezze. Da due delle quali restando ferito io, ed il cavallo mio ucciso, credendomi morto come gli altri, un tartaro discese da cavallo per troncarmi il capo, egualmente di quello che aveva fatto agli altri. Io in lingua turca, imparata nel mio viaggio di Costantinopoli, gli dissi : Degma! ferma; parola che l’arrestò. Mi spogliò da capo a piedi, lasciandomi la camicia e le calzette di filo bianco e, legandomi con fune di cuoio barbaramente e senza riguardo alle mie ferite di frezza che da tutte le parti grondavano sangue, mi condusse nel loro campo a passar la notte a ciel sereno, nè senza pensare a medicarmi, nè a darmi ristoro, ma sempre più a tormentarmi con istrettissime legature ed a farmi servire da capezzale a due tartari, che si servivano di me per riposarvi sopra le loro teste ed assicurarsi che non gli potessi fuggire. Due ore avanti giorno, con fischi o gridi svegliarono le truppe ; e, fatto chiaro il giorno, mi levarono la camicia tutta sangue e le calze