RAGGUAGLIO 89 In una prima conferenza che fu tenuta fra i commissari di tutte le potenze, consegnai la lettera al gran visir, posta dentro d’una borsa di broccato d’oro, perchè col corriere che partiva per Costantinopoli il giorno seguente l’avesse il mio collega fatta passare alla Porta. In brevissimo tempo venne dal gran visir la risposta, che si trova fra le tante lettere turche scrittemi dai pascià dell’impero ottomano, dove non solo fu lodata ed approvata la mia procedura verso di questi due poveri turchi che mi avevano salvata la vita, ma di più accreditata la mia intercessione per essi, individuandomi che il sultano, in vece d’un timarro di 300 reali, accordava un ziametto di 1000 pezze. La patente, che era in essa lettera inchiusa, fu spedita al bassà di Bosna, che pose di tal grazia in possesso il turco che mi aveva dalla morte comprato e condotto alla libertà. Se nel tempo delle mie prosperità incontrai, per ragione della mia schiavitù, gli descrittivi accidenti, non fu minore l’altro, che è l’ultimo, in tempo della mia disgrazia di Cesare, che m’inspirò il riposo e la quiete d’animo negli amenissimi climi di Linguadoca e Provenza, occupandomi fra geniali studi; attesoché un giorno, camminando per Marsiglia, m’incontrai in un turco di smisurata grandezza che portava il nome d’Assan, che fu cugino de’ miei descritti