dall’« autobiografia » 109 avevo detto di conoscere questo mercatante, il quale nell’anno 1680, ritornando io da Costantinopoli a Venezia, mi pagò 200 talleri, per una lettera di Pietro Civrani, bailo alla Porta. Nè m’ingannai nella speranza presa su tal uomo, perchè, essendo egli di molto credito appresso turchi, fu una delle maggiori cause che concorsero prima a liberarmi dalla morte e poi dalla schiavitudine. Questi nuovi miei padroni non mi strapazzavano con le fatighe nel campo sotto Vienna, e mi cibavano con i loro avanzi di carne e di frumento pilato, e mi permetteano di bevere quanto vino giornalmente volevo; giacché li carrettieri di tutta l’armata, de’ quali era la maggior parte raziana, in abbondanza ne portavano dalle ricche cantine de’ borghi di Vienna. Avendo voluto poco dopo il vesir dare un formidabile assalto alla piazza (per il quale nelle tende del campo nè anche i cuochi erano restati : portatisi tutti armati alla sua presenza), l’Ahmet, pascià di Temiswar, eh’ era stato mio padrone, arditamente li disse che non intendea ciò che intraprendeva e s’inoltrò alla correzione con quella rabbia che gli inspirava non meno il zelo ch’avea del buon servigio del suo monarca, che la passione che pativa per un’ impresa alla quale era stato sempre contrario. Il vesir,