dall’« autobiografia » 117 facendo le vendemmie, continuamente mi davano le sue donne uva da mangiare e mosto da bere. Ivi ancora nel medesimo tempo celebrarono i turchi il loro Bairamo, o sia Pasqua, con lo sbaro de’ cannoni della piazza. Passata questa festività, si accompagnarono li miei padroni con alcuni altri turchi e, pagato qualche danaio per il viglietto di passo, presero la strada di ritorno verso le loro case nella Bosnia. Usciti della città, dopo il viaggio di un giorno ci accampassimo sotto quattro noci; ed in quel sito ebbi comodità di osservare il campo di Buda e la di lei situazione, formandone con foglie di erba sulla carta alcuni segni, con intenzione di dame notizia per l’assedio della medesima, come in effetto sùbito che fui liberato la diedi al Duca di Lorena in una relazione, giunta con un’ altra del ponte di Oessek, avendomi sempre conservata questa carta, in piccolo busto di tela, insino che liberato giunsi a Venezia. Dal suddetto luogo passassimo al campo del gran vesir, nella pianura di là dalla montagna di San Gherardo, e propriamente alla sponda del Danubio. Questo nostro passaggio fu nel tempo istesso che da Baracano erano state ivi mandate due barche di teste cristiane, le quali diedero grande allegrezza; la quale però cangiossi ben tosto in pianto, per la nuova