dall’« AUTOBIOGRAFIA » 113 che agitate dal vento par che vadano con le loro spighe contra il medesimo. Li turchi, senza che li nostri facessero gran fuoco, voltarono le bianche loro teste, tutti muti, verso il proprio campo; ed ivi neanche poterono eseguire l’intenzione, che forse aveano, di correre alle tende per salvare quel ch’era possibile delle loro sostanze. Poiché, arrivativi appena, non seppersi risolvere a trattenersi un momento ; anzi prendendo qualcuno alcun cammello o mulo carico per condurlo esso seco, quanto a lui serviva di remora, tanto agli altri fuggitivi d’intrigo e d’ostacolo, perchè, giu-gnendo questi animali alle fosse, cadendo chiudevano li passi : spettacolo che facea conoscere la giustizia di Dio, e che io rimiravo legato nel braccio sinistro con una fune tenuta da Gerillo a cavallo, che colla nuda scimitarra in mano, correndo seco a piedi nudi, mi strascinava. Posto così io in necessità di seguirlo con la morte avanti agli occhi, cominciai subito a sentire i tormenti delle piaghe che mi faceano li bronchi ed i sarmenti de’ vigneti, per i quali era forza camminare; onde prevedendo che o di ferro (e tanto più che molti turchi compagni esortavano il Gerillo ad uccidermi) o di dolore avrei douto morire, mi preparai a render a Dio l’anima, con una cordiale benedizione che diedi all’esercito cristiano. 8