25 patrona potestatem in eos non habeant sed omnes heredes quos simul genuerint sint liberi. dato il consenso al matrimonio con il patto espresso che tutti i loro eredi fossero liberi, vogliamo che il padrone, o la padrona, non abbiano alcuna potestà su di essi, ma che tutti gli eredi da loro nati siano liberi. Se invece si trattava del matrimonio di un uomo libero con una schiava, avvenuto con il consenso del padrone della stessa, o della padrona, i due Statuti di Ragusa e di Cattaro disponevano in modo alquanto diverso circa la sorte dei figli. Secondo quello di Ragusa (L. VI, c. 49) era stabilito : ... sed si cum volúntate patroni, vel patrone, ipsius eam acceperit in uxorem et quesierit ei gratiam ut heredes quos Deus dederit ei sint liberi, sit in potestate ipsius patroni vel patrone liberare tot heredes dicte ancille quot voluerit et tot retinere ad voluntatem suam...... ... ma se l’avrà presa in moglie con il consenso del padrone, o della padrona, chiedendogli in grazia che tutti gli eredi che Iddio gli avrà dato siano liberi, sia in facoltà dello stesso padrone, o padrona, tanti eredi di detta schiava quanti ne voglia, liberare, e tanti secondo la sua volontà trattenere,..... mentre quello di Cattaro (c. 219) si esprimeva come segue : ... sed si cum volúntate patroni, vel patrone, ipsius eam acceperit in uxorem et quesierit ei gratiam ut heredes quos simul habuerint sint liberi, si in hoc consenserit, omnes sint liberi; si autem non consenserit, heredes sint comunes inter patronum vel patronam, diete ancille et virum eius. ... ma se l’avrà presa in moglie con il consenso del padrone, o della padrona, chiedendogli in grazia che gli eredi che dovesse avere da essa siano liberi, nel caso avesse acconsentito, tutti dovranno essere liberi: se invece non avesse dato il consenso, gli eredi dovranno essere proprietà comune del padrone, o della padrona, di detta schiava e di suo marito. Secondo gli Statuti risulterebbe adunque questo strano fatto, che nei matrimoni misti i figli potevano anche appartenere per metà al padrone del coniuge schiavo e per metà al coniuge libero, ossia i figli per metà sarebbero siati schiavi e per metà liberi, poiché non è concepibile che il padre o la madre, liberi, avessero considerati i figli, anche per la loro parte, schiavi. Di queste situazioni prospettate dagli Statuti non si trova però alcuna traccia nei documenti. Se gli schiavi stessi non erano considerati esseri inferiori, era naturale che specialmente in questi casi i loro figli (« heredes », « heredes quos Deus dederit ») dovessero crescere liberi, in deroga al principio che i frutti e gli accrescimenti di cui fosse capace una cosa dovessero spettare di diritto al suo proprietario. Questa doveva tanto più essere la regola se, come abbiamo già visto, persino quando i due coniugi erano schiavi, potevano ottenere in grazia dai padroni che la loro prole crescesse libera. Che la discendenza da schiavi non dovesse costituire un ostacolo alla li-