23 patroni vel patrone ipsius ancille dimet- padrone della schiava, o della padrona, tere tot heredes liberos quot voluerit et un certo numero liberare, quanti ne voglia, tot retinere. Idem sit de ancilla ad servum. e gli altri trattenere. La stessa cosa valga per una schiava, rispetto ad uno schiavo. Da questo capitolo dello Statuto di Ragusa si apprende adunque : 1) che il matrimonio fra schiavi era valido, anche qualora uno dei coniugi non avesse ottenuto il consenso del proprio padrone; 2) che in tal caso era lasciato in facoltà del padrone del coniuge che non aveva dato il consenso, se richiesto, di rinunziare al diritto di proprietà su tutti, o su parte, dei nati dal proprio schiavo, o schiava, che allora sarebbero cresciuti liberi. Ciò ci autorizza appunto a ritenere che quando il matrimonio fra schiavi avveniva con il consenso di entrambi i padroni, i figli non seguissero le sorti dei genitori, ma venissero considerati liberi, o di diritto o al massimo a condizione che la loro libertà fosse stata chiesta quale una grazia. Questa soluzione sarebbe anche stata la logica conseguenza del fatto, che in seguito all’ evoluzione subita dall’ istituto romano della schiavitù nelle città dalmate, gli schiavi rappresentavano dei domestici a vita, procuratisi per mezzo del loro acquisto, di cui le singole famiglie non ne tenevano oltre i bisogni dei servizi casalinghi. Per questa ragione si constata che nelle città dalmate il numero degli schiavi veri e propri era esiguo, mentre d’ altra parte, molto per tempo si costituirono, in contrapposto ai « cives », le classi libere dei « populares » e dei « districtuales », composte di artigiani ed agricoltori che per la massima parte provenivano indubbiamente da progenitori schiavi. Ammesso però che non tutti i padroni avessero rinunziato al diritto di proprietà sui figli legittimi dei loro schiavi, si affaccia la domanda : quando i genitori appartenevano a differenti padroni, come si risolveva la questione della proprietà dei figli ? Gli Statuti non contengono norme in proposito, ma per analogia con quanto si è visto nello Statuto di Sebenico (L. VI, c. 65) riguardo 1’ eventuale appartenenza a più fratelli, o sorelle, bisogna dedurre che in tale caso sarebbero divenuti proprietà, a metà, di ciascuno dei padroni, ossia che ambedue avrebbero avuto diritto alla metà del lavoro prestato dallo schiavo. Lo Statuto di Ragusa regolava un solo caso speciale di figli nati da genitori schiavi, quando cioè la loro madre fosse stata anche la nutrice della moglie o della nuora del padrone. Ecco il testo del relativo capitolo (L. VI, c. 51): Servus si ancillam babi^am uxoris pa- Tutti gli eredi di uno schiavo che troni sui seu nurus patroni aut alterius abbia sposato una schiava nutrice della acceperit in uxorem, omnes heredes quos moglie o della nuora del padrone, appar- servus ipse cum ancilla habuerit erunt terranno al padrone della stessa schiava, patroni ipsius ancille. Patrona auten ipsius La padrona, finché in vita, non potrà ven- ancille babi^e in vita sua ipsam, vel dere nè la nutrice nè i suoi eredi senza