8 vi era superficialissima, ed è notorio che Ragusa, che ebbe rapporti più stretti col Serbo, aveva un cancelliere interprete per quella lingua. Più che come mezzo di epressione ideale, nelle sfere della politica, del pensiero o dell' arte, cui era reso inadatto dalla mancanza di un contenuto spirituale suo proprio, lo slavo era usato allo scopo pratico di avvicinare il popolo ignorante alla fede, alle sue verità ed ai suoi riti. Così, esso si infiltrò anche nella liturgia, e, in certe ore, dalla Chiesa fu tollerato, anzi incoraggiato, provvisoriamente, per combattere 1’ azione della propaganda protestante, la quale, offrendo ai fedeli dell’ Oriente europeo testi sacri o religiosi in lingua popolare, affermava il diritto per ciascun popolo ad una propria liturgia nazionale. Indi, si tollerarono in circolazione breviari e messali in lingua illirica, ma questi non erano ammessi nelle chiese delle città costiere ed erano destinati al clero miserabile e ignorante delle campagne. Anche la letteratura profana slava ebbe in fondo lo stesso scopo religioso didattico di propaganda fra le popolazioni del contado, quasi saggio d’arte inferiore, da cui non c’ era da ripromettersi nè fama nè onori. Stefano Gradi, pubblicando a Roma, la « Christiade » del Patmotta, Io attesta apertamente, affermando che 1’ autore aveva scritto il suo poema nella lingua slava (quod vicinis bosnensibus in usu est) allo scopo di distogliere quelle popolazioni dai canti eroici di Mattia Corvino e di Marco Kraljevich, ed apprendere loro a cantare le lodi di Cristo. Tutta la tradizione culturale era dunque esclusivamente italiana o latina, e a ciò contribuivano gli scambi ideali e i rapporti sempre strettissimi, che intercorrevano fra le due sponde. I teologi affluivano a Roma, dove si addestravano nelle grazie latine o nella eloquenza italiana ; i laici accorrevano a Padova, che per secoli fu il centro culturale degli universitari dalmati, i quali vi imparavano le arti, le scienze e le lettere e ne riportavano una indelebile impressione, che improntava la loro anima e il loro carattere per tutta la vita. Essi concorrevano non solo alla diffusione, ma anche allo sviluppo di quella cultura, in quanto in buon numero rimasero, quali insegnanti non ultimi, in quell’Ate-neo, che era tempio e culla del loro sapere. Nelle scuole di Zara e di Ragusa, si chiamarono maestri italiani, special-mente ecclesiastici, che si innamoravano della nostra terra, e come a una seconda patria, le davano il fiore del loro ingegno e la comprensione piena del loro animo. Così, il gesuita pugliese Ardelio della Bella, che, tutto dedito a diffondere con fervore di apostolo la fede fra gli slavi, riuscì a tal punto ad assimilarsi la loro lingua, da redigerne la prima grammatica apparsa in italiano (1728) assieme ad un dizionario latino-slavo. Così pure, la monumentale opera dello « Illiricum Sacrum », eh’è la più considerevole storia della Chiesa dalmata, è dovuta alla fatica di due gesuiti italiani, il Riceputi e il Farlati da Cividale. Nè va dimenticata 1* attività che vi svolsero due altri insigni educatori, i fratelli Francesco Maria e Urbano Appendini, dei quali, il primo, con un fervore altissimo, ha redatto una serie di opere, sulla lingua e sulla letteratura slava e ragusea, che rappresentano un documento notevole di erudizione e vai-