15 blicati a Venezia nel 1556, di un fervido amore per Venezia, che trabocca dai suoi versi ispirati assai spesso, purtroppo, alle forme del più rettorico Cinquecento. E finalmente accenniamo, non fosse che per la novità dell'assunto a quel Gianfrancesco Biondi (1574-1645) da Lesina, che godette di grande reputazione al suo tempo alla corte di Giacomo I d’ Inghilterra, quale ambasciatore del Duca di Savoia, per i suoi tre romanzi cavallereschi sul tipo dell’Amadigi di Gaula, alquanto prolissi e pedestri, e più forse per la sua notevole Storia delle guerre civili d’Inghilterra fra le case di York e di Lancaster. Non vanno dimenticati nemmeno Domenico Slatari (1556-1607), la cui produzione in gran parte è andata dipersa, e il suo contemporaneo Francesco Lucari. Nè le colte patrizie ragusee, che si cimentarono nella poesia, come Giulia Bona e la soavissima Flora Zuzzeri, che sono come spirituali sorelle di quelle splendide gentildonne, colte e gentili, che hanno tanto contribuito, col loro fine spirito, ad accrescere grazia al Rinascimento italiano. A Ragusa, come a Firenze, dove si recò col marito, il fiorentino Bartolomeo Pescioni, Flora fu il centro di una società di eletti spiriti, fatta segno agli omaggi di poeti e di pensatori, che le dedicarono rime e dialoghi e ne ricevevano in cambio incitamento. Domina il XVII secolo letterario un poligrafo geniale, Stefano Gradi (1613-1683) di Ragusa, che passò gran parte della sua vita a Roma, quale prefetto della Biblioteca Vaticana, amicissimo del Bossuet, oratore facondo e scrittore vario dei più disparati argomenti, poeta di rime, forgiate secondo l’uso del tempo, che gli valsero da parte di Cristina di Svezia l’invito di sedere fra gli Arcadi. Commovente, per grazia di sentimenti e di forme, è un suo poemetto latino, in cui descrive l’isola di Giuppana, ed un’altro, in cui, piangendo sulle rovine di Ragusa, distrutta dal terremoto, invoca in suo soccorso Venezia « rerum humanarum decus », dominatrice dei mari, di cui ancella e discepola si vanta Ragusa (« Gens Venetae sese Ragusia gentis alumnam jactat...»). Non minore ingegno rivelò, nei suoi carmi latini e nei suoi scritti italiani di contenuto per lo più filosofico.il suo amico Benedetto Rogacci (1646-1719) da Ragusa, che trascorse pure tutta la vita in Italia. Nel Gradi già si sente, per la curiosità che mostra il suo fervido spirito, l’indirizzo del nuovo secolo intelligentissimo e ansioso, più che di sintesi fantasiose, di pensiero e di analisi ; ciò che, anche in Dalmazia, come dappertutto d’altronde, portò ad una eclissi della poesia a tutto benefizio della speculazione, della critica e della scientifica indagine, alle quali — come vedremo più innanzi — la Dalmazia ha dato un contributo notevolissimo. Perciò pochi sono i poeti, eccezion fatta per quel fiorire inconsueto di latinisti, cui accennammo altrove, che ridiedero attualità di freschezza e di grazia alla musa latina, e tutti così modesti, che non meritano speciale menzione ; fuorché alcuni, che scrissero anche poesie, ma hanno maggior rinomanza in altri campi di attività spirituale. Così, il raguseo Ignazio di Nicolò Giorgi (1675-1737), che visse per lo più in Italia e