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      Negli ultimi cento anni troviamo quattro dalmati minori, un ministro, un attore, un filosofo, un frate, che, pur influenzati da diversissime forze e pressioni ambientali, e possessori personalissimi di credenze e abitudini, di sentimenti e pensieri, si riconoscono come dalmati per l’identico substrato mentale.
     Francesco Seismit Doda, novelliere col « Gatto nero », combattente in tutte le campagne dell’ Indipendenza, infine ministro delle finanze, non fu un tipo facile e accomodante, se Alessandro Guiccioli in data 3 luglio 1878 potè segnare nel suo Diario: «Seismit Doda risponde a Minghetti tirando calci da somaro», e in data 22 gennaio 1879: «Doda interviene nella discussione come un cinghiale cieco »; inoltre Giuseppe Massari in una lettera al conte Greppi, dipingendo gli uomini della Sinistra appena al potere, dopo aver chiamato il Cairoli un buon retore e Corti un vanitoso, dà al Doda dello «stravagante»; ma di che genere fossero il suo recalcitrare, la sua selvatichezza e la sua stravaganza, si conoscerà, per esempio, da queste parole, dal Doda pronunciate alla Camera : « Ho la ventura di non essere nè capo gruppo nè aiutante di un capo e neanche gregario di un gruppo qualsiasi; non ho ancora trovato in questo grande tramestio la forza centripeta che a sè mi attiri; e non è da imputarmisi a colpa se ai gruppi preferisco i principii »; e ancora : « la politica estera da due anni in quà ha tutta 1’ aria di essere troppo remissiva, quasi quasi pedissequa; abbiamo l’aria di non muoverci senza averne il permesso».
      L’attore è il Papadopoli, che prima di diventare il caratterista noto soprattutto per la spontaneità e la verità della dizione, fece il marinaio, il caffettiere e l’impiegato della Sanità. Il suo repertorio fu fra i più svariati, non lo fissò mai in un tipo unico; tutti i suoi personaggi ebbero apparenza di realtà, epperciò non lasciò nessuna creazione di quelle che usano eternare la fama di un artista. Il Rasi dice di lui che quanto bene fece altrui tanto male fece a sè stesso e che questo il suo mondo artistico non gli ha mai perdonato ; prodigo, fino allo sperpero, egli mangiò
o	dette da mangiare agli altri tutto ciò che guadagnava, creandosi così una stentata esistenza e una travagliata vecchiaia ; buontempone e ipocondriaco alternava ore di grasse risate e bagordi a giornate di cupa malinconia. I suoi colleghi d’ arte Io tenevano per « irrequieto, stravagante di carattere, sregolato negli interessi ».
      Anche Giorgio Politeo, in cui la forza fisica abbondava al pari della potenza spirituale, che non conosceva timori ed « era spesso dimentico di ben consigliata prudenza », voleva darsi al mare nella nativa Spalato, ma poi al combattere le cieche forze della natura preferì battersi, colle sue forze migliori, alla ricerca della verità. Il suo fu anche un cuore assetato di verità e di giustizia; il suo fu anche un carattere che nessuna