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nazionale, era trascurata dai contemporanei e dagli autori medesimi, che non l’apprezzavano allo stesso modo della loro produzione latina o italiana, al punto che, in buona parte, essa restò inedita e ignota al mondo slavo veramente detto, sino alla fine del secolo XVIII. Lo stesso « Osman » venne alla luce appena nel 1826 e per iniziativa di editori italiani. Gran parte di questa letteratura andò perduta, per cui non conosciamo che i titoli delle opere, e ciò ancora in traduzione italiana, nelle citazioni del Bassich, del Dolci e dell’Appendini.
      Chi voleva esprimere, sul piano dell’arte, un mondo ideale di fantasia, o sul piano scientifico, un momento storico o una visione del mondo, s’ispirava all’ Italia e ricorreva all' italiano o al latino. Sicché tutta la più bella letteratura dalmata ragusea, oggi, agli occhi degli stessi critici slavi spregiudicati, appare come un riflesso pedissequo della poesia italiana contemporanea, ed è perciò eh’ essa ha un sapore così particolare e un aspetto così artificioso e conven • zionale, in quanto la veste idiomatica non si adegua al tono e all’ atteggiamento artistico, aderente, per mimetismo costante e simbiosi ideale ed estetica, al mondo italiano. E ciò va rilevato e bene inteso da chi voglia comprendere la cultura dalmata nella sua integrità, tenendo conto pure dell’ altro ramo di lingua slava, che si nutre di linfa latina e svetta in un cielo saturo di polline italico, che ovunque lo circonda, lo feconda e lo investe.
     Questo fatto resta come fondamentalmente provato ed è di un significato immanente tanto esplicito e chiaro, che resiste a qualunque polemica e s’impone come irrefutabile di fronte alle cavillose storture, che si sono volute apporre alla evidenza di un fenomeno, che trova il suo logico accatenamento nella storia stessa e nella geografia della nostra regione.
Scrittori latini
      La lingua latina, tenuta a lungo in alto pregio in tutto 1’ Occidente, ha avuto tradizioni particolarmente nobili in Dalmazia, dove l’uso se ne protrasse, nelle lettere, più a lungo che altrove, e dette pregevoli frutti, per grazia, mole e novità, quando già dovunque si era essiccata, sopraffatta dalle lingue nazionali.
      A illustrarla soltanto nei suoi massimi rappresentanti, ne troviamo di tali che onorarono i secoli più chiari dell' Umanesimo e del Rinascimento, gareggiando coi maggiori umanisti europei : il raguseo, Elio Cerva ( 1463-1520), latinamente detto, quale capo autorevole della Accademia fondata da Pompònio Leto, Aelius Lampridius Cervinus, che di sè affermava « nec sapio lllyriam, sed vivo et tota latina majestate loquor », e fu incoronato del lauro poetico in Campidoglio ; Giovanni Gozze, patrizio della stessa Repubblica, che il Poliziano ebbe caro per la sua tersa forma latina.
     Contemporaneamente poetavano, a Spalato, Simeone Selimbrio, e il più grande fra tutti, Marco Marulo (1450-1524), il poeta delle glorie marinare di Venezia e della sua Basilica d’oro; il quale suscitò intorno a sè tutto un fio-