12 rire di canti, mantenendo viva corrispondenza poetica con una »chiera di amici e devoti discepoli, quali il Martiniaco, i due Negri, l’Alberti e Francesco Natali, che compilò la biografia del maestro. Grandeggia, nel secolo XVI, la figura di un’insigne umanista, eh’è ad un tempo un grande politico, Antonio Veranzio (1504-1573), ambasciatore di Giovanni Zapoglia alle Corti di Francia e Inghilterra, poi Primate d’ Ungheria, il quale in Transilvania fece eseguire degli scavi per scoprirvi le vestigia di Traiano e di Roma. Egli scrisse in latino opere di erudizione, di storia e di geografia, e pubblicò epigrammi e poesie (Oda), che possono competere con le migliori del Rinascimento italiano, meritandosi l’amicizia e l’ammirazione di Paolo Manuzio e del Paleario. E, senza dilungarci sulla numerosa schiera di latinisti minori fra i quali nomineremo i ragusei Clemente Ragnina (1482-1589) e Giovanni Luccari (1621-1709), che hanno lasciato certa orma; meritano particolare menzione, per l’importanza eccezionale della produzione e per la originalità del loro assunto, alcuni umanisti del XVIII secolo, i quali rinverdirono il fiore della latinità. Così, in pieno rigoglio di Arcadia, quando la musa latina era oramai trascurata dovunque, come per incanto, essa trovò per mezzo loro, un rifugio nel giardino chiuso di Ragusa, e si affermò in un complesso di opere impressionanti per mole, uniche del genere nelle letterature moderne, che testimoniano della tenacissima tradizione per cui il latino, fra i dalmati, conservava ancora, alla soglia del XIX secolo, potenza e freschezza di espressione e di vita. Benedetto Stay (1714-1809), con tenacia di sforzo e inimitabile perizia, sì da esser proclamato dal Cesarotti un redivivo Lucrezio, piegò alle grazie del metro latino l’ostica materia della filosofia cartesiana e della meccanica del Newton, in due poemi, che furono giudicati dai contemporanei come un capolavoro di poesia didascalica e di tersa latinità. Particolarmente famoso fu il suo secondo maggiore poema in X libri, in cui a fianco del Newton, egli esalta il genio del Boscovich, suo conterraneo ed amico, il quale a sua volta ne accompagnò i canti con uno stringato commento latino, degno per sè di molta attenzione e di nota. Nè meno impressionanti sono i conati di due altri ragusei, il Cunich e lo Zamagna, che si cimentarono nella traduzione dei poemi omerici in eleganti virgiliani esametri, facendo opera nuova e singolarissima pei tempi loro. In tutta la loro rigogliosa produzione latina, essi seppero farsi della lingua uno strumento così duttile da esprimere i concetti e i sentimenti più moderni, senza farle perdere niente della sua grave e austera classicità. Più originale, seppure meno imponente, ed efficace scrittore di satire, su modello oraziano, fu l’arguto patrizio raguseo Giunio Resti che assistè alla tragica caduta della sua Repubblica, e nella quiete del suo campestre ritiro sfogò nella satira, con mordace vena, le tristezze dell’ animo ; mentre Giorgio Ferich, componeva favole al modo di Fedro, prendendo lo spunto da motti e proverbi slavi, e Faustino Gagliuffi improvvisava poesie estemporanee e discorsi in lingua latina, con una vivacità così arguta da eccitare lo stupore e 1’ ammirazione dei competenti, anche quando essi apparvero a stampa.