— 30 — Ma Soliman-pascià, contrariamente alla fede data ed alle sue solenni promesse, fece imprigionare e quindi giustiziare buon numero di notabili dei distretti compromessi: Milosch stesso, che aveva pur tanto contribuito a soffocare la rivoluzione, non era più sicuro della sua vita. Il governatore turco vedeva un nemico in ogni Serbo e non faceva mistero di esser deciso a ricorrere a qualunque mezzo, pur di togliere ai Serbi ogni velleità ed ogni possibilità di resistenza; il suo governo diventò sospettoso, crudele, e pesò sulla Serbia in modo così orribile da far desiderare quello degli espulsi giannizzeri. Milosch, dopo aver tentato invano di indurre Soliman-pascià a più miti propositi, vide che solo una insurrezione generale poteva sottrarre la sua nazione ad un giogo così umiliante: si decise per essa e nello inverno 1814-15 la predispose ed organizzò: nella primavera del 1815, riuscito ad uscire da Belgrado, si recò in mezzo ai suoi sulle montagne del Rudnich. La popolazione stanca, esasperata per la oppressione insopportabile, non attendeva che la sua voce per insorgere in massa, e Milosch al popolo riunito a Tachova nella domenica delle Palme del 1815 dichiarò che non restava più altro mezzo di salvezza che quello di una guerra ad oltranza contro l’oppressore: tutti i convenuti gli giurarono di assecondarlo nel pericoloso tentativo e lo riconobbero per loro capo. I messi si spargono per tutta la Serbia portando la lieta novella ed in pochi giorni tutto il paese