12 Harold, le cui prime diciannove strofe sono appunto dedicate a Venezia. Quei versi, notissimi e meritamente celebri, ebbero tra noi molti traduttori, in prosa e in verso. Fra le traduzioni poetiche basterà rammentare quella del genovese Gazzino, (primo, credo, in ordine di tempo) che distende e allunga nei suoi magniloquenti endecassillabi sciolti le stanze spenseriane, di nove versi rimati, usate dal Byron, le quali, malgrado il verso soprannumerario, hanno un andamento assai somigliante alla nostra classica ottava narrativa ; e Andrea Maffei che, pur diluendo troppo spesso il testo, stanca però assai meno della pomposità gazzi-niana e si salva con la fluidità del verso. Riassumiamo e traduciamone qualche passo. Ero a Venezia, sul Ponte dei Sospiri, posto tra un palazzo e una prigione ; e vedevo sorger fuori dall’onde i suoi edifìci, come al colpo d’una magica bacchetta. Mille anni stendono le loro ali di nebbia intorno a me, e una Gloria morente sorride su quei tempi lontani, quando tanti paesi soggetti guardavano alle marmoree colonne col Leone alato, là dove Venezia sedeva in maestà, troneggiante sulle sue cento isole ! Essa pare una Cibele marina, appena nata dall’Oceano, che innalza la sua fiera corona di torri nell’aerea distanza, imperante su Tacque e sulle loro potenze. E tale essa fu : le sue figlie ricevevano in dote le spoglie delle nazioni, e l’inesauribile Oriente le versava in grembo scintillanti cascate di gemme. Ella era vestita di porpora e alle sue feste partecipavano i monarchi, che se ne sentivano accresciuti di dignità. Ora invece tutto è in rovina ; i gondolieri vogano silenziosi senza più cantare le stanze del Tasso... ; quei giorni son passati per sempre... ma la bellezza rimane. Cadono gli stati, sfioriscono le arti, ma la natura non muore. Venezia conserva il suo incanto più a lungo del suo nome nella storia, più della lunga serie delle sue ombre possenti, che vagano sopra la città priva dei suoi dogi. E un altro trofeo ella conserva, che non sparirà col Ponte di Rialto : Shylock, Otello, Piero, non possono rumare o essere spazzati via delle onde : essi sono la chiave di volta dell’arco ! E se nulla più vi fosse, se Venezia tutta sparisse, quelle figure popolerebbero sempre per noi le sue rive solitarie. E il pensiero del poeta si volge ancora alla patria. Io ho imparato altre lingue — egli dice — e agli occhi stranieri non appaio più uno straniero : uno spirito indipendente può sempre trovarsi una nuova patria. Pure, io nacqui in un paese, cui gli uomini giustamente sentono l’orgoglio d’appartenere. E se dovessi abbandonare l’isola inviolata degli uomini saggi e liberi, e cercarmi una casa lontano, al di là dei mari, tuttavia quella patria io l’ho forse amata assai : e se dovessi lasciare le mie ceneri in un suolo che non è il mio, il mio spirito ritornerebbe là, se, privi di corpo, noi possiamo scegliere un asilo. Io lego al mio nativo linguaggio la speranza d’essere ricordato dai miei discendenti : ma se queste aspirazioni sono troppo ardite e appassionate, se la mia fama dovesse presto decadere come in fretta è cresciuta, e il duro oblio tenere il mio nome fuori del tempio dove il popolo onora i suoi grandi, lasciamo pure che i suoi lauri si posino su fronti più meritevoli !... Io non cerco simpatie e non ne ho bisogno : le spine che mi hanno lacerato a sangue le carni son cresciute sull’albero ch’io stesso piantai ; e dovevo pur sapere quali frutti avrebbe prodotto quel seme ! Quale contrasto tra questa elegia appassionata e piena di lagrime per la patria abbandonata, e ciò che il poeta scriveva al Murray pochi mesi dopo ! Segue una nuova rievocazione della grandezza passata di Venezia, in confronto della miseria presente : il Bucintoro giace abbandonato