io rentemente oziose, ma in continua vigilia d’ armi, che attendono un cenno per partire. Velivoli vanno e ritornano. L’immobilità ed il silenzio sono assenti. Tutto è sempre pronto per la battaglia, che non viene, poiché il nemico, seppur incessantemente aizzato, preferisce rimanere nascosto nei canali inaccessibili dell’altra sponda, da lui tenuta in schiavitù. È questa la guerra ? Certo anche questa è la guerra. È uno dei lati formidabili della stessa. È la possente unità meccanica che, collegata ad altre uguali e parallele, aprirà la via alla grande vittoria navale dell’ Adriatico. La nazione comprende ciò perfettamente ed altamente, tutto ciò apprezza, e con tanto maggior senso di riconoscenza, in quanto che all’Armata non deriva dal-l’immane sforzo silenzioso una qualche soddisfazione personale. L’Armata anela al successo, morde il freno, è ossessionata dall’ idea del cimento, vorrebbe osare tutto per il cimento che sembra ora inafferrabile. Non è scoraggiata, ma soffre. Ma lo scoraggiamento, seppur comprensibile, non sarebbe affatto giustificato, poiché l’inafferrabilità del cimento non dipende da essa, bensì dal terrore che ha il nemico di abbandonare le sue basi e dell’impossibilità assoluta di arrivare alle stesse. La nazione lo sa. E la sofferenza dovrebbe trovar lenimento in questa consapevolezza nazionale. Al'a bella morte mancherebbe il suo fascino per la consaputa inutilità del gesto. L’attesa paziente si impone. 1 nostri occhi, abituati a vedere la flotta nemica nei canali e nei porti dell’altra sponda, non si stancavano di contemplare l’Armata della Patria. Come l’amavamo questa armata, che alimentava la nostra fede nei lunghi anni del nostro ineffabile martirio nazionale ! Ogni varo di nave era per noi un’ indicibile giorno di festa. Ogni sventura, che colpiva l’Armata un lutto profondo. Nella guerra inevitabile, pazientemente, stoicamente attesa, la vittoria doveva venir decisa sul mare. Così pensavano, così speravano le doloranti terre irredente. Ed i voti erano anzitutto per l’Armata. Luigi di Savoja, Umberto Cagni, Enrico Milo, che avevano già date varie prove del loro valore erano nelle terre irredente i simboli della vittoria. E 1’ ultimo squillo di vittoria, fuso con quello dell’ esercito, sarà dell’armata. È questo 1’ augurio. Sul mare era calata la sera. Il movimento, meno intenso, si arrestò colla notte. Lunghissimi fasci luminosi irradiarono per qualche tempo il cielo. Si successero delle segnalazioni. Poi non una luce brillò. La città, la riva, il mare si confusero nella più completa oscurità. Tutto apparve come sprofondato. Ma tutto - uomini e cose - vegliavano per la vittoria e per la gloria d’ Italia. Dalm-s.