24 sare con la loro pressione brutale che gli abitanti abbandonassero in gran parte la zona interna della provincia e, con infiltrazioni sino al mare, spezzarono in qualche punto la continuazione territoriale costiera, ma quasi tutte le colonie ed i « castra » romani, specchiantisi nell’Adriatico, resistettero e si salvarono. Ora è naturale che ciascuna di queste comunità, che le nuove condizioni di vita costringevano a fare assegnamento soltanto sulle proprie forze ed a trovare in se le energie necessarie alla propria conservazione materiale e spirituale, continuasse a reggersi con ordinamenti romani, praticasse costumi romani, non conoscesse altri istituti giuridici all’ infuori di quelli di Roma. Di conseguenza le città dalmate non rappresentano che uno stadio successivo dell’ evoluzione di centri latini, e poiché nel mondo romano vi esisteva la schiavitù quale istituzione sociale riconosciuta e regolata dal diritto, va da se che si deve incontrarla anche nelle città dalmate, per quanto le nuove condizioni storiche imponessero loro una radicale trasformazione politica. La schiavitù nelle città dalmate non comparve perciò posteriormente, per effetto dell’ influsso dei costumi di popoli di altre stirpi che si erano installate nel loro retroterra, nè assunse mai il carattere di sfruttamento sociale che ebbe presso dì quelli, come avremo occasione di constatare. Se così non fosse stato, che cioè la schiavitù nelle città dalmate, ossia lo « status seruitutis » nel senso e nelle funzioni che aveva presso i romani, non fosse stata connaturata all' origine dei suoi abitanti ed alla loro organizzazione economica e sociale, si dovrebbe venire alla conclusione, smentita recisamente dalla realtà storica, che il loro successivo sviluppo durante il medio evo avrebbe segnato più un regresso che non un progresso. concernono le città dalmate, con altri che riguardano luoghi o persone dei paesi slavi dell’ interno e perciò è naturale che chi ricorre ad esse per ragioni di studio, se non è bene orientato sul passato della Dalmazia, corra il rischio di confondere quei due mondi in realtà tanto diversi fra loro, lasciandosi, suo malgrado, influenzare dai titoli delle opere consultate. Invero, neppure Venezia fece sempre una netta distinzione fra le città dalmate vere e proprie, dirette eredi di Roma, ed i paesi slavi dell’ interno sui quali esercitava pure il suo dominio, distinzione che invece facevano le città stesse durante il medio evo. Nell’atto del 31 luglio 1366 che si riporta nel capitolo sulla manomissione con effetto differito, si legge : « ad convenendum... Jadre, Dalmatie, Croatie, Sclavonie, Bossine et ubicunque locorum ». Con « Dalmazia » si intendevano appunto le città dalmate, in contrapposto a quelle della Croazia, Slavonia e Bosnia. A proposito di « Sclavonia » c’ è poi da osservare, che significa paese degli slavi e non degli schiavi, per quanto questi ultimi provenissero da lì e paesi limitrofi, tanto che gli Statuti ed i documenti dalmati fanno sempre la debita differenza tra « sclavus » che vale « slavo » e « servus » che significa « schiavo ». Siccome però per il termine latino di « Sclavonia », Venezia usava quello di Schiavonia, molti autori ritengono che significhi «paese degli schiavi». Così Amerigo d’Amia in «Schiavitù romana e servitù medievale», U. Hoepli, Milano, 1931-1X, a pag. 158 scrive: «... e una (schiava) di Schiavonia, che è quanto dire di quel luogo dove sogliono trarsi gli schiavi, segno che c’ era 1’ uso di prenderli quasi tutti dall’ oriente ». E poi nuovamente a pag. 160: «... tenuto conto pure di quel nome generico di Schiavonia come nido di servi orientali, che prendessero da loro medesimi il suo nome ».