34 Questa introduzione fa rilevare ancor meglio il carattere della schiavitù nelle città dalmate, carattere suffragato da molte altre disposizioni statutarie : essa non rappresentava che una classe speciale di lavoratori, sia pure a vita, che aveva diritto alla stessa tutela accordata alle altre composte di liberi prestatori d’ opera, cioè di « famuli » e « familiares » occupati in qualità di domestici, di garzoni e di operai. Su tutti il padrone esercitava le sue funzioni di « pater familias » e tutti gli dovevano perciò rispetto ed obbedienza, se non volevano essere puniti ; egli non doveva però abusare della sua autorità nei confronti di alcuno, neppure degli schiavi, se non voleva a sua volta essere passibile di una pena. Altro esempio di protezione dello schiavo ci è fornito dagli Statuti di Ragusa (L. VI, c. 43) e di Cattaro (c. 120), che stabilivano una pena per chi avesse percosso lo schiavo altrui. Il testo essendo quasi identico nei due Statuti, riproduciamo quello di Ragusa : Si quis servum vei anciliam aiterius Se uno avrà fustigato o colpito lo verberaverit vel percusserit et patronus schiavo, o la schiava, di un altro ed il ipsius servi vel ancille lamentationem de padrone ne abbia fatto denuncia, paghi hoc fecerit, solvat prò banno yperpera un’ ammenda di tre iperperi. Se però il tria. Si vero patronus vel patrona ipsius padrone, o la padrona, non avrà presen- lamentacionem non fecerit, nihil solvat. tato denuncia, non paghi niente. Fra i diversi modi di punire Io schiavo vi era anche quello di cacciarlo di casa per farlo andare in giro vestito dimessamente ed affamato per un tempo più o meno lungo. Egli non diveniva però una « res nullius », continuando ad appartenere al suo padrone, che aveva il diritto di riprenderlo in casa quando gli fosse piaciuto. Partendo dal principio che se il proprietario dello schiavo si era deciso per una tale punizione, lo aveva fatto unicamente al fine di indurlo a migliorarsi, gli Statuti riconoscevano tale suo diritto ed impedivano che altri frustrassero questa intenzione del padrone. Lo Statuto di Cattaro (c. 222) prescriveva : Si quis vel si qua, servum vel anciliam Se uno, od una, abbia cacciato di casa de domo expulerit et fecerit eos ire male uno schiavo od una schiava, facendoli vestitos, vel male pastos, ad hoc ut servus andare male vestiti e male nutriti, affinchè ille vel ancilla corrigatur de aliquo vitio quello schiavo, o quella schiava, si fosse quod habet, patronus ipse, vel patrona, corretto di qualche suo vizio, il padrone possit servum illum vel anciliam ad domum stesso, o la padrona, abbiano il diritto di reducere ad voluntatem suam ; et si ali- riprenderli in casa a loro piacere; e se quis homo franchus vel francha servum qualche libero, o libera, abbia accolto ipsum, vel anciliam, expulsum, sine vo- quello schiavo, o quella schiava, senza la luntate et licentia patroni vel patrone re- volontà ed il consenso del padrone, o cepit et de ipso servo, vel ancilla, pa- della padrona, e questi ne siano stati poi tronus aliquod damnum receperit vel si danneggiati in qualche modo, oppure lo moriretur aut fugeret, ille talis qui eum schiavo, o la schiava, muoia o fugga, receperit, patrono, vel patrone, servi, aut quel tale che lo abbia raccolto paghi al ancille, emendare omnia teneatur quantum padrone, od alla padrona, dello schiavo,