11 fase della sua vita, quale dicitore alla Radio dell’ E. I. A. R. che lo avvicinai e conobbi meglio di prima. Ma era già un uomo spacciato fisicamente. Lunghe degenze al tubercolosario non avevano potuto arrestare la marcia fatale della malattia. E proprio in questo periodo di crescente irritazione nervosa e psichica, egli cercava di dominarsi, di apparire calmo, ragionevole. Oltre che per un tesoro di belle qualità d’animo e di mente, come la rettitudine, la generosità, l’amor di patria, l'altruismo, Giuseppe Marussig si faceva notare per il suo temperamento angoloso, scontroso, suscettibile, ma poi pronto sempre alla riconciliazione e all’ indulgenza. E come avrebbe potuto essere altrimenti? Albanese di razza, dalmata di educazione, malato di mal sottile, Marussig non poteva avere i nervi sempre a posto. Doveva scattare. Ma la bontà dell’animo suo finiva poi coll’avere il sopravvento. S’imbattè spesso in persone più biliose di lui, che lo osteggiarono ; ma incontrò anche amici generosi che lo sostennero. A prescindere da certi scatti subitanei e di breve durata, visse gli ultimi anni della sua esistenza rassegnato al suo amaro destino, coll’ animo rivolto a cose ideali; al culto per l’Italia, all’amore per la Dalmazia, all’affetto degli amici, alle cure per i suoi compagni malati. Rassegnato a rinunciare alle gioie e al conforto della famiglia, alle soddisfazioni del suo amor proprio nel sentimento dalmatico e nella professione di giornalista, scrittore, letterato, quasi isolandosi dal mondo, concentrò ogni sua cura nell’adempimento del suo servizio e nella conservazione della stima dei molti amici, specialmente romani. Perdendo lentamente le forze, perdette, piano, piano, anche la capacità di ribellarsi ; sicché anche il suo passaggio dalla vita terrena a quella ideale fu evolutivo. Veniva spesso a trovarmi nella mia stanza d’ufficio ; e allora succedevano delle discussioni animate, interrotte da uno sguardo all’orologio per ritornare ciascuno ai propri compiti. Un giorno venne a ringraziarmi per avergli io fatto arrivare, con molta circospezione, al «Cesare Battisti» un giornale di Spalato, che aveva pubblicato l’annunzio della morte di suo padre. Fu allora che mi parve giunto il momento buono per chiedergli quale fosse la ragione per cui egli scriveva il suo nome colla forma «Marussig», usata non in Dalmazia, ma nel goriziano. Invece di rispondere, mi apostrofò : - Se tu avessi avuto un nome che terminava in ich, l’avresti corretto? - Sì. - lo no. Sono conservatore. E poi ti confesserò che ho adottato la desinenza ig, perchè questa lettera g, a fianco del nome, mi dà la reminiscenza di quel randello dalmatico (precursore del santo manganello) che noi si scaraventava sulle teste dei gendarmi austriaci. Questa sortita fu uno sprazzo che mi spiegò un tratto caratteristico