28 coscienza. Ella, Signore, mi perdonerà spero se questa preghiera ripeto a Lei, raccomandandoglielo di cuore. Con ciò non credo peccare d’intolleranza nè di debolezza, io che da lui nulla spero nè temo, ma rispetto, oltre alla sventura l’ingegno, e tengo eh’ ei voglia fare a volte il cattivo assai più che non è. Cominciavo dunque dal dire che dal libro del sig. Canini, Ella colse una particotarità, nella quale la memoria a lui fece fallo ; ne intorno ad altro che a certi particolari di fatto verserà questa lettera. Egli dice che nel 1847 io era ito a Padova, per un moto da tentarsi, a intendermi col conte Carlo Leoni. Non è per 1’ appunto così. Nella state di quell’ anno io proposi una petizione da fare pubblicamente al Governo austriaco, acciocché fosse attuata la legge censoria continuamente violata da esso; e, partendomi per mie faccende alla volta di Toscana, lasciai al S. Avv. Manin quel foglio sottoscritto da me, raccogliesse altri nomi, e però lo mostrasse anco al Conte Leoni. Questi per sue ragioni non sottoscrisse, nè altri, nè lo stesso avvocato Manin; onde a me venne necessità di leggere in accademia : e ne seguì le cose eh’ Ella narra a un di presso. Dunque, senza contare la mossa dei fratelli Bandiera, e altri segni che diede Venezia di vita (i quali non è luogo qui nè a lodare, nè a condannare) il fatto è che Venezia non attese la voce del Signor Cantù per destarsi nell’ autunno dell’ anno medesimo. Io Le so grato, Signore, eh’ Ella abbia con calore di pietà riverente difeso il nome dello storico tanto ingegnosamente operoso ; ma debbo soggiungere che le parole da lui dette in congresso (come poi seppi io che ne ero lontano, e da ogni pompa rumorosa rifuggo), più che eccitare, irritarono o accuorarono, non dico se a torto o a ragione, parecchi veneziani che di stimoli esterni sentivano non aver di bisogno. A onore d' esso S. Cannini, dirò che, prima ancora del '47, egli a me si mostrava caldo d’ a-more patrio ; e che, senza farsi sentire al congresso, nell’ autunno di quell'anno stampava in Toscana versi vaticinanti assai chiare le vicende imminenti. Ella, Signore, sentenzia, al paragone delle cinque giornate milanesi, femminee le parole che in Venezia e in Firenze e in Torino allora suonarono. Di quel che a me spetta non entro; ma dico che alla mossa di Milano fu primo impulso la parola d’ un deputato al Consiglio provinciale, il quale deputato nel profferirla la temperò con lodi all’ austriaco, eh’ io non avrei scritte, nondimeno le giudico più prudenti che vili, e credo che di quell’ atto gli Italiani a lui debbano gratitudine. Or la proposta di somigliante petizione era stata, circa sei mesi innanzi fatta in Venezia, con parole più altere e con più pericolo dello scrivente ; la quale se non ebbe effetto, non è del proponente la colpa ; nè se lo avesse sortito, ne verrebbe a lui lode grande, e non certamente a lui solo. Ella, Signore, disprezza come timide le parole dettate dal S. Avv. Manin e da me nella carcere innanzi a' giudici nostri. Io non ho letto 1’ esame del mio compagno, e però non ne parlo : ma mi tenni in debito di rileggere il mio per