13 sulla riva perchè più non si fanno gli sponsali con l’Adriatico ; sopra l’alta colonna ancora sta il Leone alato, come sogguardasse con amaro dileggio su quella Piazza che vide inginocchiarsi l’imperatore davanti al Papa, mentre ora vi domina un altro imperatore tedesco : sulla chiesa di San Marco s’ergono ancora i cavalli di bronzo, le cui bardature dorate scintillano al sole ; ma non sono essi « imbrigliati », come aveva minacciato Andrea Doria ? Venezia, vinta, smarrita, dopo i suoi tredici secoli di libertà, s’affonda come un’erbaccia marina in quel mare ond’ella sorse ! Oh meglio sarebbe se fosse ingoiata dall’onde, evitando così l’onta del nemico straniero, dal quale essa ora strappa, con la sua sommissione, un riposo infame. Non fu Venezia che, tra il ferro e il fuoco di cento battaglie, servì di scudo all’Europa contro la protervia ottomana ? Le statue dei suoi dogi caddero frantumate, ma l'orgoglioso loro palazzo rimane, testimonio dell’antico splendore. Pur troppo, lo scettro spezzato e la spada arrugginita furono ceduti allo straniero, e le vie deserte e i visi estranei indicano come e da chi fu gettata quella nube desolata sulle belle mura di Venezia. M Ma, come in antico il canto del poeta valse a ridare alle città vinte la libertà e insieme l’omaggio del vincitore, così, o Venezia, se anche fossero dimenticate le tue gloriose imprese, almeno il tuo amore pel Tasso e per il suo poema, che il tuo popolo ripete cantando, avrebbe dovuto tagliare i lacci di cui t’hanno avvinta i tuoi tiranni. La tua sorte è una vergogna per le nazioni..., e più di tutte, per te, o Albione ! La regina dell’oceano non doveva abbandonare i figli dell’oceano : nella caduta di Venezia pensa allo stesso fato che forse ti attende, nonostante la liquida fortezza che ti circonda. Io ho sempre amato Venezia, fin da fanciullo : al mio cuore essa appariva una città incantata, formata di mura e di colonne d’acqua sorgenti dal mare, soggiorno della gioia, emporio di ricchezze. L’arte di Shakespeare, di Schiller, di Otway, di Radcliffe aveva impresso in me la sua immagine ; e benché ora io l’abbia trovata in questo stato, non so distaccarmene e m’è ancor più cara nella sua sventura che quand’essa era nel suo meraviglioso splendore. Io posso ripopolarla con le ombre del suo passato ; e del presente c’è sempre quanto basta per la gioia dell’occhio e della mente, e anche per la meditazione : più, anzi, di quanto speravo e cercavo. Dei più felici momenti di cui s’intreccia il tessuto della mia esistenza, alcuni sono tinti dei tuoi colori, o Venezia !... * * * Questo del Childe Harold è forse l’inno più bello e più appassionato che sia mai stato sciolto a Venezia e conserva ancora tutto l’entusiasmo del primo incontro. Anche le note che accompagnano il Canto quarto mostrano con quanta passione il poeta si fosse occupato della storia, dei costumi e del carattere dei veneziani, pur tenendo conto che per i particolari storici quelle note son dovute in massima parte all’amico Hobhouse, al quale appunto è dedicato il Canto quarto. Nella lettera dedicatoria che lo precede il Byron scrive anzi di averle abbreviate per dare soltanto ciò che valesse strettamente a spiegazione del testo. Ma molte altre, dovute evidentemente al poeta stesso, hanno per noi forse maggior interesse perchè contengono le sue osservazioni ed esperienze personali : alcune anzi sono l’eco di molte lettere ch’egli scrisse in quegli anni agli amici, specialmente al Murray, a Moore, Rogers, Hobhouse, Woppner. Se ne trovano anche chiare tracce nei frammenti del suo gori-nale che ci sono stati conservati.