II il romanticismo della città aumenta il fàscino ; il « bel sangue » però non si trova tra le dame o nelle classi più alte, ma sotto i fazioli (fazzoletti) specie di velo bianco che le popolane portano in capo : la veste zendale, il vecchio costume nazionale delle donne, non si trova più. La città tuttavia decade ogni giorno e la popolazione non aumenta. Pure io la preferisco a ogni altra in Italia : qui ho piantato il mio bordone (staff) e qui intendo fermarmi per tutto il resto della mia vita, a meno che gli eventi, oppure degli affari che non possano venir conclusi fuori d’ Inghilterra, non mi obblighino a ritornarvi... Ciò che è in pieno contrasto col passo della lettera a Hoppner di quattro mesi dopo. Tuttavia, anche lo sfogo contro i moderni veneziani imbelli e rassegnati (che si spiega con la passione politica che aveva preso il Byron in quel tempo per le cose d’ Italia) non gli impediva di scrivere da Bologna al Murray in giugno del 1819 di voler essere sepolto al Lido, vicino all’Adriatico. Anzi ci piace ricordare, benché notissime, alcune frasi di quella lettera e d’un’altra di pochi giorni prima all’Hoppner, per farci un’idea più esatta dei sentimenti del poeta per l’Italia ed anche del suo crescente odio per 1’ Inghilterra. Egli aveva notato alla Certosa di Bologna due inscrizioni funebri, di cui una diceva : « Martini Luigi — implora in pace » ; e l’altra : « Lucrezia Piccini — implora eterna quiete ». Ciò era tutto, egli scrive all’Hoppner ; ma pare a me che queste due o tre parole comprendano e compendino tutto quanto può dirsi in proposito... e in italiano sono una vera musica. Esse contengono incertezza, speranza, umiltà ; nulla può essere più patetico di quell’implora e della modestia della domanda. Coloro ne hanno avuto abbastanza della vita, non abbisognano che di riposo : questo implorano e l’eterna quiete. Sono come iscrizioni greche di qualche antica « città dei morti » pagana. S’io verrò seppellito nel cimitero del Lido, e che tu viva ancora, fa ch’io abbia l'implora pace e nul-l’altro per epitaffio. E il giorno dopo al Murray, tornando sullo stesso argomento, ribadisce : Può esservi qualche cosa più piena di pathos ?... V’ha in quelle parole tutto l’abbandono (helplessness), l’umile speranza e l’ultima preghiera che può levarsi da una tomba : « implora pace ! » Spero che chi mi sopravviverà, chiunque egli sia, e mi seppellirà nel cimitero degli stranieri al Lido, dentro la cinta fortificata sulle rive dell’Adriatico, provvederà a mettere sul mio sasso sepolcrale quelle due parole e nulla più. Spero che non si penserà a « mettere in conserva le mie spoglie e a portarle in patria a Clod o al Blunderbuss Hall » (1). Son certo che le mie ossa non riposerebbero in una tomba inglese, e che la mia polvere non si mescolerebbe con la terra di quel paese. Credo che impazzirei sul mio letto di morte se dovessi immaginare che qualcuno dei miei amici fosse tanto vile da voler portare la mia carcassa nel vostro suolo. Neppure i vostri vermi vorrei pascere se potessi evitarlo. Non c’è da meravigliarsi di queste contraddizioni, che sono sempre state una nota predominante nel carattere e nella vita del Byron. ®munclue sia, Venezia fu per lui una meravigliosa scoperta e una fonte abbondante d’inspirazione : molte delle sue opere più belle hanno argomento veneziano. Già alla fine del ’17 (cioè a poco più di un anno dalla sua venuta sulle lagune) egli aveva finito quel Canto quarto del Childe (1) È un verso d’ una commedia di Sheridan.