20____ ___________ ________________ giovani. E questo era un buon passaporto per il suo spirito. L’incontrai una sera a Piazza di Spagna. Ero stato chiamato in quei giorni a redarre la rinnovata Rivista italiana. E volevo immettere sangue nuovo nelle vecchie vene : aprire le porte ai giovani e ai nuovi, senza preconcetti di scuole e di posizioni raggiunte. E fu così che a un giovine quasi ignoto furono schiuse le pagine della Nuova Antologia. Ne sono fiero ; credo di aver servito uno scrittore e le lettere italiane. Poiché, a rileggerlo, oggi, questo libro, sia pure attraverso certi indugi ideologici, tipici dell’ autore, la nostra letteratura si arricchisce di un’opera d’arte e d’un documento umano, legato alla crisi d’Europa. Parliamo di questo libro : è l’omaggio che, certo, Giuseppe Marussig più gradisce. Perchè implicitamente vuol dire parlare di lui, tanto 1’ opera è aderente al pensiero, al sentimento e ai problemi estetici dell’ autore. È il libro della crisi spirituale che nella smembrata Europa colpì tutti gli uomini che si trovarono con un piede da una parte e uno dall’ altra in quel riassetto che la guerra credè di portare nel mondo, a prezzo di tanto sangue, e in nome di tante pretese equiparazioni. Nacque, allora, più vivo il problema degli uomini di confine : uomini senza unità, che avevano aspirato a un unità; nei quali si perpetuava il conflitto di sentimenti e di pensieri contrari, in cui parlarono le parole diverse di una stessa passione, le ore o le stagioni diverse di una stessa vita. Confusioni di sangue, di razza, di tradizioni, che cercarono un ubi consistam spirituale, una tregua all’ affanno di secoli. Uomini spaesati, non paghi del proprio paese, e non accolti nella cerchia d’una agognata patria ideale. E fra i tanti i dalmati. Marussig era il tipico dalmata, malato del male della sua terra. Un dalmata trasmigrato in Italia : un italiano per educazione culturale, per mistico sentimento, che, a volgersi indietro, si ritrovava estraneo fra le mura della sua patria d’ origine. 11 profugo che aveva trovato nel sole d Italia la luce e il calore per il suo spirito, ma che tuttavia soffriva, senza dirlo, della mutilazione che il distacco dal suo paese nativo gli aveva operato nell' intimo cuore. E questo era un altro elemento della sua solitudine, confortato, però, dalla coscienza di avere agito secondo la legge del figlio che non tradisce la grande Madre. Ecco alcune parole d’ una sua lettera : « Per l’Italia ho patito carcere; per 1 Italia ho lasciato con dolore la mia terra e la mia famiglia ; per 1’ Italia ho patito molte umiliazioni. Se non ho dato alla Patria la vita, le ho dato, forse, la salute. Non me ne glorio "• ho fatto solo una parte del mio dovere. Ma, inromma, ho fatto il mio dovere ». Rare volte la parola Italia è stata pronunciata con sì alta coscienza. Ma senza ostentazione. Voi che 1 avete conosciuto, voi che 1’avete avvicinato quotidianamente, sapete che egli non fece mai professione d'irredentismo, nè vantò diritti a compensi per quanto, in silenzio, aveva dato di sè, al suo paese. II suo amore per 1 Italia si orientò nell’ amore per la sua storia e per la sua arte : amò i nostri poeti, le nostre glorie, sentì e si nutrì del nostro passato, in cui trovò conforto, perchè fece di esso il pane della sua anima. E la linfa vi-