112 FATTI, PERSONE, IDEE e di Mario Visintini, con gli ardimenti di Tosoni Pittoni e di Giovan-nini — i volontari triestini hanno di-;nostrato di aver saputo aggiornare ai tempi nuovi l’irredentismo di Trento e Trieste. ( erto che, scomponendo sul banco d'analisi il vecchio irredentismo di anteguerra, si potrebbero riscontrare filoni che oggi non ritroverebbero la amalgama col nuovo metallo di cui è composto l’italiano nuovo. Ma sono filoni espulsi ormai non solo dal nuovo irredentismo ma anche dalla vita del paese. Non nuocerà, a questo proposito ed a conferma dei nuovi sentimenti che animano i triestini, riprodurre quanto, in una corrispondenza da Trieste, scriveva «Il Regime Fascista» del 20 ottobre anno XVIII: «E’ superfluo ripeterlo — ma perchè lo intendano anche certi sordi che non vogliono sentire, ed anche certi giudei eskenazy che oggi fanno gli schizzinosi e fino a ieri ostentavano l’uso della lingua tedesca in famiglia, e parlavano un dialetto infarcito di mahlzeit e di auf wiedersehen — occorre ridirlo: tra Italia e Germania nell’ultimo secolo, prima della guerra mondiale, non ci fu attrito ma un parallelismo storico che sfociò fatalmente hell’attuale alleanza di acciaio. La lotta dell’Italia fu contro l’Austria degli Absburgo. E contro tale Austria, Italia e Germania — nel loro processo di resurrezione nazionale — si trovarono alleate. Così, Trieste la sua lotta secolare dovette combatterla contro l’Austria Absbur-gica, non contro il germanesimo. Scomparso l’equivoco austriaco, che poteva alle volte dar l’impressione di una frizione fra il mondo germanico e il mondo italiano, era naturale che questi due mondi si avvicinassero, perchè i loro interessi, la loro cultura, i loro sentimenti, ed ora le loro due rivoluzioni, li ponevano fatalmente sulla stessa direttrice di marcia.» E’ dimostrato così che la tesi di Mario Appelius sulla granitica solidità dell’Asse Roma-Berlino trova piena ed assoluta rispondenza in quello ch’era il nobilissimo irredentismo triestino e che — ligio soltanto all’anjor d’Italia — non è stato mai esclusivista, e dopo Vittorio Veneto s’è aggiornato alle nuove esigenze indirizzando verso nuovi obiettivi le ancora fresche energie spirituali. Federico Pagnacco Le riconferme della storia <,V"T La «Rivista Storica Italiana» di Torino (30, IX, ’40) si meravigliava che nella Essenza dell’irredentismo (pubblicata nella «Rivista Dalmatica» di Zara, A. XX, f. 4) io volessi «impostare una nuova definizione dell’irredentismo», facendone «una specie di categoria immanente delle genti di frontiera, la manifestazione di una legge di natura, una idea-forza», una «nuova concezione, — insomma —, che dilata l’irredentismo da evento storicamente determinato a un universale». Alcuni amici dalmati si attendevano che io replicassi a queste obiezioni chiarendo ulteriormente il mio e il loro pensiero. Io non ne sentii proprio il bisogno. Sapevo che la storia si sarebbe incaricata essa stessa di confermare, presto o tardi, quella interpretazione dell’irredentismo. Se non avessimo avuto ragione noi, se fosse stato vero che il nostro irredentismo si dovesse considerare un evento storicamente determinato, cioè superato per sempre e già esaurito in sè stesso, anziché una idea-forza, una categoria immanente (se così piace meglio definirlo) delle genti di frontiera o un universale, come si spiegherebbe il suo trionfo d’oggi, che ha riaperto tutte le partite ritenute ormai chiuse in eterno e ci ha portati alla riconquista della Dalmazia e ci riporterà — domani — a quella di Nizza, della Corsica, di Malta e d’altre terre?