42 REMIGIO MARINI nella più ampia accezione della parola. Egli manda alla mostra una scelta antologia di dipinti, dalla fine dell’Ottocento a questo 1940. In ogni opera si vede il maestro. Ecco la vita aneddotica di Venezia: «Carnevale in Campo S. Barnaba», «Fuochi d’artificio», «Le prigioni al Ponte della Paglia»; un po’ illustrativa forse quest’ultima, ma quasi sempre l’illustrativo o il documentario nel Brass si risolve nel pittorico: e il gran signore delle sue opere è sempre il colore: d’intonazioni più gravi, con splendidi neri, le opere più antiche, egli si schiarisce con gli anni, quando l’impressionismo e il postimpressionismo sono per lui i richiami alle fonti piene: al grande Settecento veneto. Che sfavillio di nuvole e onde, che spruzzi magici di bianco nelle processioni sui ponti, a sereno, o meglio tra i fondali d’un cielo in burrasca; c’è qui un esempio, la «Processione della Salute». Ancora freschi sono i toni delle opere ultimissime: «La regata di Murano» e «Adunata XVIII». Se dicessimo che questi quadri ci sodisfino come i più belli del passato, saremmo insinceri. Il pennello, abbiamo detto, è seniore quello: spazi ampi, larghi orizzonti o sapienti interni, fresca vena di narratore. Ciò che ne esce più malconcio è il colore: le orchestrazioni briose di rossi e gialli, di bruni e seppie, di bianchi e neri, le larghe armonie dorate cedono ora a un cromatismo vistoso ma non poco freddo e stonato. Ma Italico Brass ha tal passato, che non è il caso d’insistere su queste passeggere deviazioni. Ci resta da parlare d’un aeropittore: del futurista goriziano Tullio Crali. Le sale destinate ai pittori futuristi formano gruppo a sè: una spece di San Marino entro la più grande Italia artistica. Ciò è molto bene: qui non siamo più nel campo dell’arte ma fra più o meno valenti valentuomini i quali si dedicano a certe esperienze tecniche che a volte hanno qualche rapporto con l’arte. Ma non intendo qui imbarcarmi in una polemica antifuturista, per l’amor di Dio. Mi limiterò a parlare della mostra personale di Tullio Crali. Dico con tutta sincerità che fra le molte cose ch’io non amo e che la mia costituzione mai mi potrà far amare di questa aeromostra (non è elegantissima parola, ma la colpa non è mia), le bianco-azzurre fantasie del Crali mi sono piaciute davvero: e trovo che in queste pitture non c’è soltanto bizzarria e non c’è assolutamente fumisteria (cosa ch’io non ardirei affermare di molti suoi compagni di fede), ma esiste davvero sentimento e valore d’arte. Del resto ch’egli qui dentro domini, l’hanno sentito gli organizzatori stessi, i quali solo al Crali hanno concesso una personale. Sovrasta nelle pitture che chiameremo simultanee del Crali (una spece di fotomontaggio estroso dinamico felicissimo) il senso della vertigine dato insieme dalla visione degli abissi e del lanciarsi in alto delle babeliche città tentacolari. «In tuffo sulle città» presenta appunto le immani cristallizzazioni cubiche d’una selva di grattacieli che in un violento gioco di prospettiva dall’alto in basso si sfalda in tutte le direzioni. Un magico effetto di nubi assediante il pilota in una violenta tempesta si ha in «Sopra vuoti d’aria». «Sfiorando le città» fa sprofondare dall’alto lo sguardo nelle vie delle città moderne incassate da costruzioni altissime, grandiosi canons artificiali, vere paurose bolge della vita contemporanea. Geniali e avvincenti anche «Prima che si apra il paracadute», «Calando nel golfo», «Seduttore di nuvole». Se vogliamo, abbiamo qui talvolta una virtuosità eccessivamente geometrica o cartellonistica. Ma l’incisività del segno, il sentimento del gran-